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Eva Braun

2015
Titolo Originale:
Eva Braun
REGIA:
Simone Scafidi
CAST:
Andrea Riva (Pier)
Susanna Giaroli (Romy)
Federica Fracassi (Elisa)

Il nostro giudizio

Eva Braun è un film del 2015, diretto da Simone Scafidi.

Per un curioso effetto illusionistico, ottico-mentale, prospettico, la visione di Eva Braun, l’ultimo lungometraggio di Simone Scafidi – quello degli Arcangeli, di Appunti per la distruzione, della Festa e del recente, ottimo, bio-mockumentary Zanetti Story – lascia la convinzione di avere assistito a sequenze hard, nel senso tecnico del termine. Immagini contenenti situazioni di sesso esplicito. Non è così, perché il film, di scene del genere non ne annovera. Non di sesso esplicito, almeno, di pornografia. Vi si vedono immagini indubbiamente forti, che trascrivono e traducono concetti estremi (la masturbazione, per esempio, di un cane morto da parte della sua padrona), spinte verso quel limite che il cinema di Scafidi corteggia da sempre. E che qualche volta ha decisamente oltrepassato in direzione delle “cose più dure”, dell’esplicitezza, dell’hard (si recuperi l’ottimo mediometraggio Così è l’amore). Questo muoversi sul ciglio, per così dire, dell’abisso, produce qualcosa che pone in conflitto eccitazione e frustrazione, con un risultato straniante. Che appare in qualche modo equiparabile all’idea dello spazio e del tempo che viene fuori da questo Eva Braun: una indefinitezza, ambigua, attraente ma nello stesso tempo tagliente, infida. Verrebbe da dire che ci veniamo a trovare all’interno di un sogno, bagnato dalla luce del sole dei sogni, scandito da un onirico tempo senza tempo. Forse è una definizione banale, ma forse, credo, acchiappa qualcosa di ciò che cerca di sfuggirci da questo strano film, che sembra come un’Atalanta cui corriamo appresso sapendo che non la acciufferemo mai. Ma buona parte dell’opera di Scafidi è così.

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Eva Braun è la messa in scena di un gioco, di un rituale, la cui natura sadiana, via Pasolini di Salò – che è uno dei film de chevet di Scafidi – non è mai, nemmeno per un attimo nascosta. Un gruppo di persone che non ha più nulla da perdere è invitata nella casa del ricchissimo e potente Pier (Andrea de Onestis, attore feticcio del regista) coadiuvato da un’ape regina (Susanna Giaroli) che offre loro di saldare tutti i conti, debiti e insoluti, che hanno in sospeso, in cambio della disponibilità totale ad accondiscendere alle sue fantasie. Che non sono di natura banalmente sessuale ma implicano la disponibilità dei suoi ospiti a usare il proprio corpo come strumento del piacere altrui. Una distinzione sottile. La manipolazione del corpo è uno dei grandi temi del film e i corpi sono il centro nevralgico di Eva Braun, umidificato e irrorato da un erotismo freddo, molto contingente e materico (gli interpreti sono tutti estremamente disponibili) ma che allo stesso tempo suggerisce di continuo il rimando all’allegoria. Si può capire, vedendo Eva Braun, o meglio, si può intuire, cosa intendesse Pasolini quando parlava di Salò come di un “grande enigma medievale”. Torniamo al sogno o alla dimensione senza tempo che fu già di Salò. Berlusconi, gli scandali sessuali italiani, il califfato di (H)ar(d)core si leggono in controluce e come ispirazione. Ma Eva Braun è ben altro che una possibile stimolazione di prurigini nate dal gossip.

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Il corpo è quanto abbiamo, forse l’unica cosa reale. La materia atomica è ciò in cui cominciamo e ciò in cui terminiamo. È l’unica strumentazione disponibile per il viaggio. Che sia vero o non sia vero, passa in secondo piano. Da quarant’anni a questa parte un cospicuo numero di persone vive obbedendo a questa idea che il Potere asseconda. L’astratto non esiste (più). Il concreto è l’astratto. Il corpo è lo spirito. Eva Braun faciliterebbe che si continuasse con questi giochetti di parole che però racchiudono un senso. Almeno nella filmografia di Scafidi, luogo in cui si danno appuntamento e si sintetizzano poesia e ferocia, sentimento e squallore, ma sempre intorno alla dimensione più materica. Al Corpo. Così, nella sequenza più disturbante e metafisica del film, lo sperma eiaculato da Pier è uno schizzo di seppia, ha il nero della morte che è ormai entrata in quel corpo. Viceversa, una visione pacificante, irenica – ispirata dall’ultima sequenza dei titoli di coda di Zelda di Alberto Cavallone: non è illazione, ma lo dice Scafidi – è l’unione dei corpi nudi del padrone di casa e dei suoi orgiasti in un’ammucchiata che riconduce in qualche modo ciò di cui siamo fatti e ciò che siamo a una ule originaria, l’indifferenziata Materia Prima. E così sia.