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Furiosa: A Mad Max Saga

2024
Titolo Originale:
Furiosa: A Mad Max Saga
REGIA:
George Miller
CAST:
Anya Taylor-Joy (Furiosa)
Chris Hemsworth (Dementus)
Lachy Hulme (Immortan Joe)

Il nostro giudizio

Furiosa: A Mad Max Saga è un film del 2024, diretto da George Miller.

C’è un Uomo-enciclopedia (History-man in originale) tra le fila di Dementus, il nuovo villain dell’ultima fatica cinematografica di George Miller. Quest’uomo ricorda il sapere del mondo che fu, tramite una miriade di definizioni enciclopediche tatuate sul corpo e sulle vesti e, all’occasione, fornisce significati e contesti culturali alle parole che Dementus (soprannome appropriato) non conosce. Un’idea alla Ray Bradbury, che ricorda gli uomini-libro di Fahrenheit 451, persone preposte a imparare a memoria i tomi bruciati dai ‘pompieri’ nel futuro distopico immaginato dall’autore di Cronache marziane. Nella saga di Mad Max, a partire dal secondo film, ovvero quel The Road Warrior (titolo con cui fu distribuito negli USA nel 1982) che definì per sempre, in modo unico e originale, il modo di concepire un mondo apocalittico post-atomico, ci sono sempre stati dispositivi o persone preposti alla conservazione del sapere che apparteneva al Mondo di Prima. In Road Warrior era il bambino selvaggio, mascotte della comunità salvata da Max, destinato a diventarne il capo e a trasformarsi nel vecchio narratore che costituiva la voce over del film. In Thunderdome (1985) c’erano i disegni, in stile rupestre, sulle mura della caverna abitata dai ‘bimbi sperduti’ a conservare la memoria del mondo che fu e degli eventi che ne portarono la rovina. Spettava poi alla giovane Savannah diventare poi capo-tribù e conservare la memoria di ciò che altrimenti sarebbe andato perduto. In quel film c’era anche un disco in vinile in cui era inciso un corso per bambini, per imparare a parlare e conoscere il significato delle parole. In Fury Road (2015) c’è una vecchia, tra le poche Madri rimaste del Luogo Verde ormai scomparso, che porta ancora la memoria delle cose che furono. In Furiosa abbiamo invece l’History man che, in alcuni passaggi-chiave del film, si trasforma anch’egli in narratore, donando profondità e senso mitopoietico agli adrenalinici eventi cui assistiamo. Su questo aspetto torneremo alla fine.
Nella genesi del personaggio di Furiosa esplorata in questo nuovo film, l’adrenalina non manca, anche se maggiormente dosata rispetto al precedente capitolo, proprio per dare spazio a quell’inquadramento mitologico cui abbiamo accennato e che, nella corsa forsennata e perpetua di Fury Road, trovava meno spazio. Cosa che invece era ben presente nei precedenti capitoli della saga, senza che questo disinnescasse l’impatto delle lunghe scene d’azione. In Furiosa tutto nasce, con una metafora fin troppo scoperta, da una mela che viene inopinatamente colta dalla protagonista bambina nel giardino dell’Eden (o delle Esperidi, a seconda del mito) che era il Luogo Verde in cui viveva insieme con la madre biologica e con le Molte Madri. Quel peccato lo pagherà amaramente, con anni di prigionia e schiavitù che, come osserva lo stesso Dementus, la fortificheranno, preparandola a diventare la guerriera indomita che abbiamo conosciuto in Fury Road. In questo capitolo ritroviamo un più giovane Immortan Joe (stavolta interpretato da Lachy Hulme al posto del defunto Hugh Keays-Byrne) e, soprattutto, vengono finalmente mostrate le altre città che nel capitolo precedente erano soltanto nominate, e cioè Gastown e Bullett Farm. Prosegue dunque l’esplorazione dell’universo milleriano color ocra, una sfumatura decisamente più intensa e sanguigna, che definisce i nuovi film della saga, rispetto alla palette di colori desertica, ma più solare, della trilogia originaria.

Qualche parola su Anya Taylor-Joy: se c’erano dubbi sul fatto che potesse o meno sostenere l’intensa fisicità del ruolo di Furiosa rispetto a Charlize Theron, tali dubbi sono stati completamente fugati. L’intensa e laconica interpretazione, perfettamente in linea col personaggio, dell’attrice scoperta da Robert Eggers in The Witch, non fa rimpiangere la pur magnifica Theron. La Furiosa di Taylor-Joy parla con i suoi espressivi e spalancati occhi che sprizzano odio nei confronti del crudele Dementus e che non si chiudono di fronte alle atrocità commesse dal folle tiranno. La freddezza di Furiosa non impedisce però all’attrice di veicolarne l’emotività in alcuni momenti ben precisi del film.
I detrattori della saga denunciano che questi film non sono altro che delle lunghe corse nel deserto su trabiccoli strampalati. In parte è vero e non ci vediamo assolutamente nulla di male in questo. Ma è nella profetica visione di un futuro appena dietro l’angolo che Miller dona linfa immaginifica a tutta la saga, compreso questo ultimo esaltante capitolo. È nei dettagli di un mondo che vive e palpita negli ironici e irriverenti riferimenti al mondo che fu, ovvero il nostro, che l’immaginario della saga milleriana trova un senso che va oltre il mero inseguimento nell’outback australiano, cifra visiva portata tra l’altro allo stato dell’arte dal cineasta di Brisbane. Attenzione: non stiamo tentando di dare una giustificazione intellettuale al mondo di Mad Max: a noi basterebbero già solo quei fenomenali inseguimenti con la macchina da presa a filo d’asfalto, su quei magnifici veicoli immaginati a partire da pezzi sparsi della nostra tecnologia, per considerarci soddisfatti. Già solo questo rende la saga una magnifica consacrazione astratta dell’inseguimento su strada, puro godimento visivo. Ma sono i dettagli, quei tocchi milleriani unici, riferibili ironicamente al nostro mondo ‘normale’, che danno il senso e la profondità di cui parliamo. Qualche esempio in Furiosa: c’è dell’esplosivo ben piazzato, che minaccia di distruggere GasTown, collegato a un dispositivo digitale con una tastierina numerica. Serve un codice Pin per far saltare tutto e lo sgherro di Dementus che tiene in mano il tastierino, inizia a battere i tasti del codice davanti a Immortan Joe che non dovrebbe guardare. Imbarazzato, lo sgherro copre il tastierino numerico, proprio come facciamo noi quando ritiriamo i contanti al bancomat per non far vedere il pin agli sconosciuti. Altro dettaglio tipicamente milleriano, che sottolinea la forte componente ludica presente nel suo universo: il ‘bambino-di -guerra’ che, chiuso nell’autocisterna durante uno degli inseguimenti, chiede di poter usare la bomba d’acciaio (delle enormi mazze ferrate rotanti presenti sul retro del veicolo), al quale viene risposto che non è ancora il momento. Come a dire che è lo stesso Miller a baloccarsi per primo come un bimbo con quegli stupendi e immaginifici giocattoli che fa costruire per i suoi film. Non dimentichiamo che i bambini (cui abbiamo già accennato) sono personaggi fondamentali nel secondo e terzo film.

Non sarebbe un film di Mad Max senza un’enorme e agguerrita autocisterna lanciata a folle velocità nel deserto, che viene attaccata da violente tribù che cavalcano moto e veicoli dalle fogge più fantasiose possibili. In Furiosa, questo topos fondamentale viene annunciato da una spettacolare inquadratura in grandangolo con la macchina da presa piazzata sull’asfalto, in cui un side-car entra ed esce di campo come segno premonitore visivo, per poi vedere all’orizzonte la sagoma dell’autocisterna, accompagnata dai veicoli di scorta, come un gigantesco mostro di ferro (Duel di Spielberg insegna) che ci arriva incontro. Come la diligenza di Ombre rosse attaccata dagli indiani, l’autocisterna, portatrice di salvezza e di beni di prima necessità (acqua, viveri, oppure benzina e munizioni), è attaccata da predoni dal volto spesso coperto con maschere mostruose, apotropaiche. Infatti il mondo tribale di Mad Max, che nell’universo filmico di Miller costituisce il nostro futuro, è in realtà portatore di codici estetici e tematici che si rifanno maggiormente ad un passato arcaico e ancestrale. Qui le tribù vivono con il mito di una età dell’oro ormai passata, il cui ricordo cercano di ravvivare tramite quei dispositivi, o persone, di cui si diceva all’inizio. Il racconto, in quanto pratica mitopoietica fondamentale per dare sostanza ai bisogni interiori di popoli che necessitano di storie in cui riconoscersi, costituisce appunto il fondamento narrativo della saga di Mad Max e anche di questo Furiosa. Come abbiamo accennato, l’History-man al soldo di Dementus, si trasforma in voce over, ovvero in una fonte di enunciazione narrativa principale, proprio come accadeva al ragazzo selvaggio di Road Warrior e a Savannah la ragazza di ThunderDome. È l’importanza delle storie tramandate, fulcro del mito alla base del contratto sociale che unisce tribù e popoli, che MiIler vuole trasmetterci in tutti i film della saga, storie che costituiscono un baluardo contro il caos e la violenza dilaganti, contro gli istinti più basici e selvaggi che si scatenano quando le civiltà collassano. Anche nel suo penultimo e sottovalutato film, Tremila anni di attesa (2022), il valore delle Storie assume un’importanza capitale.
Per chiudere infine il cerchio bradburyano cominciato con questa nostra recensione, anche il corpo tatuato dell’History-man rimanda all’universo narrativo di Bradbury e cioè a quell’Uomo illustrato, protagonista del racconto omonimo, poi espanso nel romanzo capolavoro Il popolo dell’autunno (1962), in cui questo imbonitore da fiera chiamato Dark, ornato di magici tatuaggi cangianti, porta angoscia e paura nei paesi che visita col suo luna-park itinerante. Qui attrae persone ingenue trasformandole in fenomeni da baraccone che rimangono per sempre al suo servizio. Imbonitore è anche Dementus, interpretato da un Chris Hemsworth terribilmente in parte, come manipolatori delle masse sono quasi tutti i villain apparsi nella saga di Mad Max, da Lord Humungus (The Road Warrior) ad Aunty Entity (Tina Turner in Thunderdome), fino a Immortan Joe in Fury Road. Ma il concetto di tiranni, a volte anche goffi e poco lungimiranti come l’ultimo Dementus, che, in periodi di crisi e devastazione, fanno leva sui bisogni e sulle paure delle persone, attraversa come un monito tutta la saga di Mad Max, per arrivare infine a Furiosa, film che costituisce l’ultimo grido di avvertimento che Miller lancia alla nostra civiltà, votata alla follia e all’autodistruzione.