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Dogman

2018
Titolo Originale:
Dogman
REGIA:
Matteo Garrone
CAST:
Marcello Fonte (Marcello)
Edoardo Pesce (Simoncino)
Alida Baldari Calabria (Alida

Il nostro giudizio

Dogman è un film del 2018, diretto da Matteo Garrone.

Dogman nulla ha a che vedere con la vera storia del toelettatore di cani Pietro De Negri, ai più noto come il Canaro che, il 18 febbraio 1988, sfogò la propria rabbia repressa nei confronti del suo amico-persecutore Giancarlo Ricci, bullo criminale e picchiatore di zona, uccidendolo dopo averlo seviziato con metodi al cui confronto le torture del capo Apache Cochise sarebbero parse carezze. Ma, si sa, un autore non è tenuto a rispettare la cronaca, tanto più che è stato lo stesso regista romano a dichiarare che il film è solo «ispirato» al caso del Canaro, aggiungendo che si tratta di una storia di «rancore non di vendetta». Già, ma dal rancore alla vendetta spesso il passo è breve. Penso all’ormai cronologicamente lontano Un borghese piccolo piccolo di Mario Monicelli, caposaldo nostrano nel genere. Mi pare onesto, nei confronti di chi pensi di andare a vedere il film per ripercorrere la stioriaccia brutta dei via della Magliana 253, far sapere che no, non la ripercorrerà. Non si coprirà gli occhi davanti alle scene più truci; non si terrà stretto alla poltrona carico di adrenalina; non sentirà la tensione di un noir alla Chabrol o alla Hitchcock. Dogman è infatti un film che affascina per altro: la splendida fotografia di Nicolai Brüel, già apprezzato in The Machine (2013) e la capacità di scavare in una realtà romana degradata che Pasolini negli Anni 70 avrebbe chiamato sottoproletaria, ma che oggi è totalmente priva di quei valori che il regista di Accattone rimpiangeva, pur prevedendone, già allora, la disfatta.

Anche il luogo è perfetto:  la Pinetamare, un villaggio  costruito negli anni 60 dai palazzinari Coppola a Castel Volturno, in provincia di Caserta, inizialmente destinato al terziario poi alle famiglie dei militari americani, infine, con perfetta sequenzialità italiana, finito in mano alla criminalità organizzata dell’agro Aversano. In questo contesto, Garrone e gli sceneggiatori Ugo Chiti e Massimo Gaudioso collocano un gruppo di storici abitanti locali che si conoscono sin dall’infanzia: un compra oro, un gestore di una sala giochi, un toelettatore per cani che gli animali sembra amarli davvero: un uomo apparentemente mite, questo Marcello, il canaro, come lo chiamano, ma cocainomane e spacciatore, come quasi tutti i suoi compagni di merende. Il capetto di zona, Simone, è un ex pugile fallito, violento e prevaricatore. Gli attori di Dogman sono bravissimi (Marcello Ponte, il Canaro, con la sua vocina un pò nasale e il suo atteggiamento dimesso) e Simone (Edoardo Pesce, un tipaccio che non ti augureresti mai di incontrare sulla tua strada). Sarà stata una sindrome di Stoccolma in versione romana? Una inconscia attrazione omosessuale? Fatto sta che Marcello sopporta fino allo stremo le angherie di Simone. Persino l’anno di carcere che si fa al posto suo. E, giunto al punto di non ritorno, esplode. Con il pretesto di derubare ipotetici personaggi con cui trattare un carico di coca, convoca Simone nel negozietto zeppo di cani, gli consiglia di infilarsi in una gabbia per non farsi notare, ma poi lo chiude dentro. È la sua personale festa di sangue, il suo trionfo.

Ma, al di là degli inconfutabili pregi di cui ho detto, Dogman appare carente di ritmo, a tratti persino un po’ noioso. Ci si aspetta una catarsi finale che riscatti la lentezza della prima ora. L’esplosione ci sarà, certo, ma avverrà con lentezza, senza traumi, senza emozioni “di pancia”. Inoltre il rapporto fra il Canaro e la figlioletta appare decisamente fuori scala rispetto al resto del film: una parentesi affettiva fatta di bacetti e immersioni subacquee che nulla offre all’insieme (e allo spettattore). Il canaro qui non muore, non viene arrestato (quello vero è vivo e vegeto) e si ritrova sulla spiaggia con il cadavere del suo miglior nemico. Il Garrone de L’imbalsamatore, di Primo amore e persino di Gomorra, non abita più qui, se non per una consequenziale poetica del “mostro”. Vedremo la versione che della vicenda del Canaro ci darà il regista Sergio Stivaletti, anche lui noto creatore di mostri (se pur da bravo effettista, anche per Dario Argento). Il suo film, Rabbia furiosa – Er canaro uscirà in sala il 7 giugno. Ma nulla vi  rivelo. Solo il cartiglio di apertura: «Si tema l’ira dei mansueti perché essi riverseranno in voi tutto ciò che hanno subito» (La Bibbia, Libro dell’Apocalisse).