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Cimitero vivente: le origini

2023
Titolo Originale:
Pet Sematary: Bloodlines
REGIA:
Lindsey Anderson Beer
CAST:
Jackson White (Jud Crandall)
Natalie Alyn Lind (Norma)
Forrest Goodluck (Manny)

Il nostro giudizio

Cimitero vivente: le origini è un film del 2023, diretto da Lindsey Anderson Beer.

Il prequel di un remake che, almeno nelle intenzioni, è anche un reboot. Solo a pensarci vien già un gran mal di testa. Se poi l’oggetto del suddetto remake, del quale si vogliono scandagliare le presunte origini, è nientemeno che una pietra miliare – anzi, tombale – come Pet Sematary beh, il rischio di mandarla in vacca è dietro l’angolo. Intendiamoci: non che il refresh del 2019 ad opera di Kevin Kölsch e Dennis Widmyer fosse da buttare, anzi. Ma quando si sceglie di allontanarsi dalla primigenia kinghiana fonte per navigare a vista negli insidiosi lidi del retelling, bisognerebbe quantomeno mettere in conto che un’operazione come Cimitero vivente: le origini, nonostante la furbizia nello fruttare un ormai insipido effetto nostalgia – chiamando a raccolta persino una spaesata Pam Grier -, pare destinata, se non a fallire, quantomeno a zoppicare sin dai primissimi vagiti. Un cucciolo nato morto, insomma, che nemmeno il ferino sepolcreto e le sue sciamaniche entità ancestrali sarebbero in grado di resuscitare in condizioni accettabili.

E dire che, almeno sulla carta, l’opera seconda di Lindsey Anderson Beer non parrebbe affatto male. A cominciare dall’idea, tutto sommato interessate, di riportare le lancette del campanile della piccola cittadella di Ludlow indietro sino a quel nixoniano 1969 in cui il giovane Jud Crandall (Jackson White) e la di lui avvenente compagna Norma (Natalie Alyn Lind) progettano di mollare baracca e burattini per unirsi alle fila dei Peace Corps, nel mentre in cui la guerra, tanto quella Fredda quanto quella caldissima in sud-est asiatico, fa sentire i suoi echi mortali fin dentro i confini del Maine. Ma nonostante i buoni propositi e la volontà di alleviare lo strisciante senso di colpa per aver dribblato a piè pari la doverosa chiamata al fronte – grazie ai maneggi del caro babbo Dan (Henry Thomas) -, il nostro belloccio protagonista capirà ben presto quanto difficile sia lasciarsi terra, famiglia e passato alle spalle. Sopratutto quando la cimiteriale terra è in grado di risvegliare i bipedi e quadrupedi trapassati, la famiglia nasconde parecchi scheletri nell’armadio e il passato viene a bussare sotto forma del vecchio amico d’infanzia Timmy (Jack Mulhern), ritornato dal Vietnam – e ancor prima dal regno dei morti – grazie all’incauta sepoltura nello sconsacrato suolo di qui sopra per mano del disperato paparino Bill (David Duchovny).

E che cosa mai vorrebbe il nostro fresco e giovane revenant se non assecondare l’insistente richiamo degli insidiosi spiriti che da secoli dimorano tra le lapidi, dispensando quante più trasferte di andata e ritorno dall’Altrove possibili al fine di dar vita a una letale Army of the Dead? Ci vuole, se non del coraggio, almeno una discreta dose d’inventiva nel prendere uno striminzito capitoletto sperduto fra le pagine dell’opera originale del Maestro del Brivido e costruirci attorno l’intera impalcatura di Cimitero vivente: le origini; tentando per giunta di rimpolpare un minimo la nebbiosa lore celata dietro il romanzo cult dello zio Stephen con una backstory confezionata ad hoc che guarda tanto alle oscure leggende dei nativi americani quanto ai sinistri miti popolari della frontiera, tra cui l’inquietante sparizione della celebre Colonia di Roanoke. Tutte ottime premesse buttate alle ortiche da una confezione priva del talento e della voglia necessari a elevare l’intera operazione al di sopra della soglia della mera sufficienza; ulteriormente affossata dalla volontà di abbandonare troppo presto la strada maestra, così come le stuzzicanti intuizioni laterali, per cadere nella pigra tentazione di strizzare entrambi gli occhi alla raggelante Morte dietro la porta di Bob Clark e al folle Lustig di Uncle Sam. D’altronde, così come il geniale scrittore di Portland ci ha più volte ricordato: a volte restare morti è la cosa migliore! Nel cinema come nella vita, bisognerebbe aggiungere.