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Bloodline

2018
Titolo Originale:
Blloodline
REGIA:
Henry Jacobson
CAST:
Seann William Scott (Evan Cole)
Mariela Garriga (Lauren Cole)
Dale Dickey (Marie Cole)

Il nostro giudizio

Bloodline è un film del 2018, diretto da Henry Jacobson.

Un anno di limbo distributivo per approdare ad una diffusione limitatissima su suolo esclusivamente americano è abbastanza per attestare che Bloodline avrebbe meritato maggior fortuna. Non è previsto per il momento un lancio internazionale (nonostane il marchio Blumhouse in co-produzione), l’opera prima del giovane documentarista Henry Jacobson resterà probabilmente confinata nel mondo di mezzo del Dtv, o al massimo dell’on demand. In realtà, il film ha tutte le caratteristiche per distinguersi e spiccare nell’iper-saturo catalogo dei serial killer movie. Come in una versione sadica e alienata dell’amatissimo Dexter (paragone automatico fatto da tutti), Bloodline mette insieme una stringata cartella clinica del “serial killer vendicatore”. Evan Cole (Sean William Scott, plauso al coraggio di mettere il suo simpatico volto al servizio di un ruolo del genere) fa il counselor in un liceo pubblico. Al suo sportello, giorno dopo giorno, passano a sfogarsi ragazzi maltrattati, umiliati, violentati da parenti e tutori. Un coacervo di traumi e dolore che sembra non intaccare in nessuna maniera la paradisiaca vita personale di Evan, marito amorevole e futuro padre. In realtà, l’uomo ha un hobby singolare: armato di guanti, coltello e impermeabile, il sorridente terapista è solito avventurarsi nella notte alla ricerca dei “colpevoli” dietro le vite infernali dei suoi giovani pazienti. Come in quella vecchia incarnazione del Michele Apicella morettiano in cui il protagonista, assassino, uccideva quanti rovinassero un suo ideale di serenità borghese, così Evan sequestra, tortura e uccide a suo gusto i presunti “mostri” della società.

Su tutti, il film di Jacobson sembra puntare su quell’unico elemento che in una simile cinematografia può rappresentare un terreno di distinzione: la cattiveria. Bloodline è uno dei thriller più visivamente, eticamente e narrativamente sadici a memoria recente, perfettamente radicato in quell’estetica del dolore tipicamente indie di cui pare una beffarda parodia. Stupisce in tal senso come l’onnipotente casa di Jason Blum abbia deciso di mettere il suo iconico logo in testa ad un film così lontano dai suoi placidi standard di jumpscare e fantasmi (salvo abbandonare del tutto il film in fase di promozione). Nella sua trattazione della patologia mentale e delle sue radici nell’ambiente professionale e familiare del protagonista, più che a Dexter il film sembra rifarsi ai classici di Bret Easton Ellis; il glaciale dissezionamento di un mostro e dell’humus sociale che lo ha generato, nel quale il demoniaco eroe si crogiola impunito come un verme nella carcassa. L’apparente totale impunità di Evan Cole è l’elemento forse più inquietante: nonostante la follia e l’evidente illogicità delle sue azioni da criminale dilettante, l’assassino non solo sembra inafferrabile, incastigabile, ma finisce come accettato in una struttura marcia in cui la violenza e il sopruso sono ormai istituzionalizzati. In linea con questo cinismo, il suo idilliaco rapporto con la famiglia è il vero grande contraltare delle brutali scampagnate omicide di Evan.  Madre, moglie e figlio neonato: un trittico per il quale il sornione protagonista non ha che amore e rispetto. La famiglia di Evan è cieca, assuefatta (forse connivente) all’orrore del pater familias, e nei suoi malsani rapporti interni si cela la vera incubatrice dei demoni da lui incarnati.

Il senso da supereroe malato di Evan appare come prosecuzione diretta di una cultura della sopraffazione e dell’abuso, ereditaria e inestinguibile come una malattia genetica interna alle strutture familiari (come suggerisce il bel twist finale). Simili considerazioni non basterebbero a fare di Bloodline un debutto notevole, se Jacobson non decidesse di associare alla provocatorietà del testo una sorprendente aggressività visiva. Il regista non solo non  tira indietro la mano, ma cerca metodicamente di suscitare nel pubblico il maggior fastidio di fronte alle azioni del protagonista (evitando così la trappola della glorificazione, tema oggi giustamente centrale dopo decenni in cui la “coolness” pareva il tratto chiave dell’assassino cinematografico). Tra associazioni di montaggio aberranti (una scena di parto cronenberghiana difficile da dimenticare) e dettagli sonori a martello, la regia sa far pesare senza un filo di ironia tutte le coltellate, tutti gli spasmi agonizzanti delle vittime. Di eroi non ce ne sono, e scappatoie morali ancora meno. Certo, Bloodline si muove pur sempre su un terreno in fondo ben conosciuto dagli amanti del genere, e la sua originalità è più teorica che pratica. Non manca l’inevitabile colonna sonora elettronica, i giochi di luci al neon e i soliti (ma sempre apprezzabili) tributi ai classici trucchi della scuola Argento-DePalma. Ma forse anche questo approccio derivativo al racconto thriller rientra in un’idea di revisionismo critico applicata alle sue figure e i suoi “eroi”, nobilitando ulteriormente il lavoro di un esordiente da tenere d’occhio.