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Adagio

2023
REGIA:
Stefano Sollima
CAST:
Pierfrancesco Favino (Cammello)
Gianmarco Franchini (Manuel)
Toni Servillo (Daytona)

Il nostro giudizio

Adagio è un film del 2023 diretto da Stefano Sollima.

Roma brucia, o almeno le sue periferie, come in una reminiscenza neroniana-imperiale, nel nuovo film di Stefano Sollima, Adagio, presentato in concorso a Venezia 80, mentre il caldo attanaglia chiunque si trovi sprovvisto di aria condizionata. Tra questi c’è il Cammello, ex-criminale giunto al crepuscolo della carriera che, per cercare conforto dalla canicola, si accoccola sul pavimento vicino alla moglie. Corpo imponente ma invecchiato e ingobbito, calotta cranica lucida e madida di sudore. Così viene presentato il corpo di Pierfrancesco Favino che, sotto la guida di Sollima, si presenta volutamente sgradevole, quasi a voler spazzare via l’estetica affascinante e/o borghese di altri suoi personaggi con cui è stato amato dal pubblico. Come se nel suo percorso col regista di Soldado abbia voluto chiudere un cerchio, dopo il poliziotto violento di Acab e il politico corrotto di Suburra, tramite una spoliazione e scarnificazione metaforica del personaggio, giungendo a qualcosa di molto essenziale, ma decisamente più d’impatto rispetto ai suoi precedenti sollimiani. Si tratta di un criminale dal passato terribile, e dal futuro breve, vista la sua malattia. Ma soprattutto un ex-componente della banda della Magliana (magari non un capo ma un manovale), allacciandosi così a uno dei personaggi più iconici interpretati da Favino, ovvero il Libanese nel Romanzo Criminale di Michele Placido. Interessante come il percorso d’attore in questo caso si intersechi indissolubilmente a quello dei personaggi interpretati in una narrazione che va oltre il singolo titolo e che ci permette di paragonare il percorso professionale di Favino, con le dovute proporzioni, agli iter di alcuni grandi divi americani, i cui personaggi più iconici, dialogano tra loro nei luoghi dell’immaginario cinematografico.

Il Cammello si ritrova suo malgrado ad aiutare Manuel, figlio di un “ex-collega”, Daytona, interpretato da Toni Servillo, che non ci sta più con la testa. Il ragazzo è invischiato in un pericolosissimo giro, ricattato da dei carabinieri poco di buono, capitanati da uno spietato (anche lui padre di famiglia), Adriano Giannini. Il ragazzo viene inviato come infiltrato in una festa per spiare e ricattare un uomo potente, che spaccia droga e se la fa con i ragazzini. Manuel all’ultimo momento si tira indietro e così la squadra di Giannini si mette sulle sue tracce per eliminarlo, in quanto scomodo testimone.
La vicenda ripercorre alcuni archetipi narrativi fondamentali del gansgter movie, del poliziesco e del noir, cioè quello dell’ex-criminale ormai ritiratosi, costretto a rientrare in gioco, per compiere un’ultima azione che forse lo riscatterà e che probabilmente potrebbe portarlo alla morte: fatte le dovute proporzioni, una versione intrucidita del Carlito di De Palma. Inutile stare qui a snocciolare le decine di titoli noir, polar cui Adagio si avvicina per prossimità di genere e storia. C’è pero una citazione molto esplicita su cui non possiamo tacere. Daytona, il personaggio interpretato da Servillo, sembra in realtà essere meno fuori di testa di quel che sembra.

Qui Sollima si ricollega al Kevin Spacey de I soliti sospetti, non nel senso che Daytona sia un Keyser Söze della Magliana, ma avviene una trasformazione caratteriale proprio come per lo Spacey del cult di Byan Singer, con tanto di inquadratura in dettaglio dei piedi di Servillo che cambiano andatura, in senso inverso rispetto al film del 1995: mentre lì i piedi di Spacey, da che erano zoppicanti diventavano sicuri e spediti, qui avviene il contrario. Alla nostra domanda in merito alla citazione, in sede di conferenza stampa, Sollima ha ammesso il chiaro riferimento ma ha affermato che si è trattato di qualcosa di inconscio, proveniente dal suo DNA di spettatore. Ha aggiunto che se qualcuno glie lo avesse fatto notare in fase di ripresa, non avrebbe girato quell’inquadratura in quel modo. A dispetto del titolo, Adagio ha un ottimo ritmo e tiene lo spettatore sul filo per tutta la durata della vicenda, che si concluderà con uno showdown in un luogo tipico, la stazione dei treni, ma in modo brusco e più anti-spettacolare di quanto ci aspetterebbe. Se in Suburra era la pioggia a dominare l’atmosfera del film, qui, come accennato all’inizio, sono il caldo e il fuoco degli incendi che definiscono la temperatura emotiva della vicenda: calda e sporca, in perfetto Sollima-Style. Squallidi personaggi, carabinieri peggio dei delinquenti e criminali di mezza tacca popolano questa storia senza speranza, dove un adolescente viene ingiustamente braccato da uomini spietati e determinati. Se sono quasi tutti senza redenzione, è nella nuova generazione che il finale del film sembra riporre le speranze.