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A passo d’uomo

2023
Titolo Originale:
Sur les chemins noires
REGIA:
Denis Imbert
CAST:
Jean Dujardin (Pierre)
Joséphine Japy (Anna)
Jonathan Zaccaï (Arnaud)

Il nostro giudizio

A passo d’uomo è un film del 2023, diretto da Denis Imbert.

A passo d’uomo è uno di quei film con  trama molto vista (che soprattutto piace negli Stati Uniti, alla Into the Wild: sfrenata ricerca in solitaria della libertà nella natura) su un uomo determinato e la sua incredibile impresa, da cui è impossibile farlo desistere. Non ha, fortunatamente tanto di quello spirito motivazionale ed esortativo al carpe diem (già sentito e ormai  piuttosto banale) che spesso connota simili storie, ma un tono decisamente più poetico e riflessivo. Con esiti, tuttavia, piuttosto confusi. Siamo di fronte al terzo lungometraggio del regista francese Denis Imbert e il primo a uscire nei cinema italiani. Segue molto alla lettera le parole del romanzo autobiografico-memoriale del 2016 da cui è tratto, Sur les chemins noir,  del viaggiatore e scrittore Sylvain Tesson. Il titolo è un riferimento a tutti quei sentieri, indicati come “neri” sulle carte dell’IGN, per via della loro difficoltà e inagibilità, che il protagonista, Pierre (Jean Dujardin) decide di percorrere per attraversare la Francia, dalle montagne alpine del Mercantour, fino alle spiagge della Bretagna. Lo seguiamo in un viaggio che sa molto di redenzione e che, proprio per questo, trova numerose somiglianze, casuali che siano o meno, con il percorso di Petrarca (in particolare quello della lettera al fratello dell’ascesa sul Monte Ventoux, con un’ambientazione che ricorda quella del film) e di Agostino. La cosa che, però, differenzia questa storia da quei due grandissimi autori è la totale assenza di dubbio o fluttuazioni nella mente di Pierre.

Costui, infatti, è ossessivamente determinato dal portare a termine il viaggio e risulta totalmente distante dal tipo di vita da lui tenuto nel passato, a base di alcool, fumo e feste. Le uniche difficoltà che incontra sono di tipo fisico (cosa che lo avvicina molto di più alle storie di ultramaratoneti e scalatori vari) e non mostra alcun pentimento nei vizi che si concede, come il fumo del sigaro ancora permesso (mentre dai flashback risultava senz’altro condannato).  Siamo di fronte a un personaggio che si rivela in due differenti momenti della sua vita, ma in entrambi eccessivamente monodimensionale: sia quello dei flashback, totalmente dedito alle gozzoviglie, sia quello che compie il viaggio, totalmente dedito alla redenzione. Questo suo percorso  è accompagnato, tramite voice over, anche da una sommaria riflessione nostalgica su una Francia campagnola e legata ai ritmi della natura che non è più, con pesanti condanne dei ritmi mondani contemporanei e alla civiltà urbana (gli stessi biasimi si trovavano anche 2500 anni fa!). Durante il suo viaggio incontra altri personaggio, che compongono un ritratto vario, ma piuttosto stereotipato della Francia rurale.

C’è la radical chic, che decide di vivere di pastorizia in montagna, ci sono abitanti di villaggi tratteggiati simpaticamente, ci sono individui che compiono con lui tratti del cammino, compagni piacevoli e meno, c’è addirittura chi lo scambia per un barbone (nonostante il suo bel viso imberbe e l’outfit sempre perfetto, addirittura con camicia). A passo d’uomo non ha ovviamente solo lati negativi. Una menzione di merito va fatta, senz’altro, alla buona costruzione strutturale. Troviamo, infatti, un continuo, ma  comunque coeso, alternarsi di immagini di presente (viaggio), passato e futuro (Dujardin che diventa un importante scrittore), che creano una contrapposizione ben riuscita, seppur semplice, tra presente e passato. Anche le immagini (qui, però, il merito è da riconoscere alle bellezze paesaggistiche delle montagne francesi) e il ritmo del montaggio sono di ottimo livello, sicuramente funzionali alla storia e al tono riflessivo della stessa.