Intervista a Simona Busni

A colloquio con l'autrice di L'alienista scettico
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Simona Busni, docente all’università della Calabria, insegna Immagine contemporanea. Vincitrice del prestigioso Premio Limina 2020, come migliore libro italiano di studi sul cinema con: L’alienista scettico, che analizza l’uomo Michelangelo Antonioni, l’autore e alcune delle sue opere.

Simona, il suo libro ha come titolo: L’alienista scettico, perché? A quale tipo di scetticismo fa riferimento Antonioni?

Lo scetticismo di Antonioni è lo stesso che innerva l’arte e la cultura italiana da sempre, cinema compreso. Nello specifico del mio libro, faccio riferimento anche a pensatori come Wittgenstein e Stanley Cavell – quest’ultimo autore di una rilettura filosofica molto interessante sullo scetticismo che parte proprio dal linguaggio. Antonioni è uno che, tragicamente, mette in dubbio qualsiasi aspetto dalla realtà e questo suo atteggiamento scettico è palese sia a livello formale sia a livello di contenuti. Il termine “alienista” gioca con tutta la questione dell’alienazione, che una certa critica ha chiamato in causa per i suoi film: l’alienista è un attento osservatore di tutto ciò che è “altro” (l’immagine, la donna, i sentimenti, le parole, il paesaggio), una sorta di detective impegnato in estenuanti e inconcludenti pratiche di identificazione, destinate inevitabilmente a fallire.

Quanto è importante la storia di un autore per comprendere meglio le sue opere?

Credo che sia comunque imprescindibile, ma nel caso di Antonioni lo è ancora di più, perché il suo cinema ha un tratto autobiografico spiccatissimo, che si lega fatalmente anche ai paesaggi padani  immortalati dal Neorealismo – si pensi al delta del Po e alla sua Ferrara, quest’ultima rievocata nel suo primo lungometraggio, Cronaca di un amore (1950). Ho studiato in maniera molto approfondita gli scritti di Antonioni – che prima di diventare un regista è stato un critico cinematografico e che ha continuato a scrivere lungo tutto l’arco della sua carriera. Nelle sue parole ho trovato gli indizi che mi hanno permesso di circoscrivere il perimetro del suo scetticismo. Le risposte agli enigmi costruiti all’interno dei suoi film sono tutte lì, basta saperle cercare: film e scritti antonioniani, da questo punto di vista, dialogano in maniera sorprendente.

Antonioni nei suoi film tratta il tema dell’incomunicabilità, della noia, delle nevrosi dettate da una nuova società. Secondo lei, quanto c’è di autobiografico nei personaggi di cui narra? E come descriverebbe oggi la donna?

Antonioni sostiene di avere scoperto la malattia dei sentimenti prima dei sentimenti stessi, quindi si serve chiaramente di una lente autobiografica per decodificare la condizione dei suoi contemporanei: il suo è un quadro lucidissimo, sconcertante, ma profondamente vero – una verità che però non coincide quasi mai con il senso, come scrisse di lui Roland Barthes. Se poi consideriamo che la musa dell’incomunicabilità, Monica Vitti, protagonista indiscussa di tutta la cosiddetta Tetralogia, era anche la sua compagna di vita, non possiamo avere ulteriori dubbi a riguardo. La donna per Antonioni è puro mistero, il soggetto privilegiato di tutte le sue ossessioni: continuerebbe anche oggi a ritrarla, a inseguirla, senza riuscire a comprenderla mai.

Approfondirà altri aspetti della personalità e delle opere di Antonioni?

Si tratta di un autore che mi accompagna ormai da diversi anni – anche nel mio primo libro, La voce delle donne. Le sconosciute del melodramma da Galatea a Lucia Bosè (2018) me ne ero in parte occupata in una chiave melodrammatica. Credo sia giunto il momento di congedarmi serenamente da lui, ma per il futuro non escludo nulla.

Come ha accolto la notizia della vittoria?

Con estrema gioia, ovviamente: il Limina è arrivato alla fine di un ciclo molto intenso – anni e anni di ricerca, spesso condotta in maniera precaria – e rappresenta un segnale di riconoscimento fortissimo all’interno della comunità scientifica di cui faccio parte, la Consulta Universitaria del Cinema. Non posso che esserne onoratissima. Grazie al premio, ricorderò questo 2020 anche per qualcosa di positivo.