Intervista a Maccio Capatonda

Gusti e idee del regista di Omicidio all'italiana
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Non so mai come chiamarti, Marcello o Maccio…
…bè, in teoria all’anagrafe c’è scritto Marcello: ma puoi cambiarmi nome, dai.

Allora dove comincia Maccio e dove finisce Marcello? Nella vita quotidiana, sul set…
È un confine indefinibile, perché le due cose sono più o meno la stessa. Nel senso che non ho una vita artistica diversa da quella reale. Io faccio le mie cose, porto il mio mondo reale che è già un mondo fittizio, nella mia vita reale, lo porto nel lavoro che faccio. Fondamentalmente è un cane che si morde…la zampa.

Penso che Maccio Capatonda sia l’unico autore di commedia italiana che per far ridere, per completare il suo film, lavora anche sulla scenografia: nel senso che cura ogni particolare, perché ogni particolare deve essere funzionale al racconto. Nel momento in cui scrivi, già pensi alla messa in scena?
Cerco di lavorare, soprattutto nel caso dei film, a tutti gli aspetti che possano avere un senso e una resa. Fin dall’inizio, cerco di pensare alla parte visiva, che comprende la fotografia, la scenografia, l’inquadratura. Ma è anche vero che ci sono cose a cui si arriva grazie all’accumulazione e al tempo. Specialmente nel caso di un film, hai tempo a disposizione per lavorarci e quindi ci sono idee che vengono fuori a poco a poco, quindi magari in una scena c’era una scenografia pensata e solo abbozzata ma poi, quando ci si ritrova a parlare con lo scenografo, si cambia, evolve, perché naturalmente accetto suggerimenti da tutti. È anche un lavoro di squadra. Poi si, ci sono cose che nascono proprio sul set, girando: proprio in Omicidio all’italiana c’è una sequenza dove c’è uno spot del paese Acitrullo, uno spot immobiliare, dove c’è un tizio che dice “la tua nuova casa ad Acitrullo è tua per soli DUECENTONOVANTANOVEMILA EURO!!!”, quando la Ferilli parla col commissario spiegandogli quanta gente ci mangia, sull’omicidio messo in prima serata tv. Bè, in quella scena ho fatto aggiungere quelle due sagome che si vedono, due persone affacciate al balcone, per dare l’idea dei possibili nuovi occupanti della casa.

A proposito di troupe, Omicidio all’italiana penso che segni un putno di svolta: per la prima volta fra Maccio Capatonda ed Herbert Ballerina c’è una donna protagonista, una Sabrina Ferilli che viene qui giustamente glorificata come regina del trash. Trash inteso in senso letterale, cioè orientamento del gusto basato sul recupero e sulla valorizzazione, spesso compiaciuta, di ciò che è grottesco. Come l’hai scelta?
Quando ho scritto la parte ho pensato subito a lei: è stata la mia prima scelta perché incarnava proprio il personaggio che io avevo ideato. Poi però ho pensato anche che non avrebbe accettato: non ci conoscevamo, magari neanche le sarebbe piaciuto il film. Invece poi le ho mandato la sceneggiatura ed è rimasta entusiasta. Ci siamo sentiti e alla fine mi ha fatto i complimenti, ha accettato di fare il film e abbiamo cercato di lavorare tentando di amalgamarci molto. Nel senso che lei si è adattata al nostro umorismo, ed è stata bravissima, ma soprattutto come amica fuori dal set: e questo ha permesso di trovare un’intesa mentre giravamo, perché poi il suo ruolo non è “alla Maccio” ma è alquanto normale. Le ho chiesto di essere molto vera e molto autentica, senza esagerare negli ammiccamenti, perché così sapevo di renderla più cattiva e spaventosa possibile. Non volevo fosse troppo caricata o caricaturale.

Questa tua passione per il trash, verso la nobilitazione di alcune forme espressive sottovalutate, da dove nasce?
Mah, è una cosa istintuale. Per il trash, io mi sono nutrito di tanta televisione negli anni ’80 e ‘90, e le cose che mi facevano più ridere erano proprio quelle trash, a partire dalle tv regionali per finire alle televendite, ai maghi e ai cartomanti: perché poi il trash penso che nasca dal tentativo malriuscito di fare una cosa. E quindi mi fa ridere proprio qualcuno che tenta di fare qualcosa ma non ci riesce: è un principio comico, in realtà.

Nelle tue cose, a partire da Mai Dire Gol, c’è sempre stato al centro il mockumentary che è arrivato poi a Mariottide e a Mario. Ma il tuo cinema tiene sempre presente riferimenti alti, prima di tutto a Ciprì & Maresco e poi inevitabilmente anche a Pasolini. Hai qualche regista a cui ti sei ispirato, o che ti ha ispirato?
Ciprì & Maresco sono tra i miei registi preferiti, l’ho sempre detto: quindi assolutamente si, loro tantissimo, ho visto i loro film un botto di volte, da Lo Zio Di Brooklyn a Totò che visse due volte specialmente, fino a Il Ritorno di Cagliostro. Quindi loro sì: poi ho anche die maestri dal lato “serio” come Kubrick e Lynch, e per quanto mi riguarda ci sono delle somiglianze fra Lynch e Maresco

Virano entrambi sul surreale, come anche tu…
Sì, e anche sul cinico, sul dark, anche se Ciprì & Maresco a volte fanno paura: ricordo che le prime volte che ho visto Totò che visse due volte ero impaurito da alcune scene, come quando c’erano alcuni clienti di una prostituta che attendevano di essere ricevuti. Anche dal lato comico, ho dei maestri come Verdone, Troisi, Benigni, Nuti, con loro sono cresciuto; ma anche dal punto di vista televisivo, come Nino Frassica, Corrado Guzzanti…

Tu parti dal grottesco e scivoli sullo sberleffo. Per un gioco: le tue canzoni preferite o quelle che adesso ascolti di più..
Sì: da poco è morto un cantante romano che a me piaceva moltissimo e che purtroppo è stato sempre sottovalutato, Enzo Cirella, io l’ho amato tanto e avrebbe meritato di essere molto conosciuto. Volevo inserire una sua canzone nel film ma per alcuni motivi non è stato possibile, e la canzone è Parigi. E poi, Breath dei Pink Floyd: la mia canzone preferita…