Amira Lucrezia Lamour

L'horror e la passione viscerale di un'attrice

Amira, la tua storia comincia da lontano. Dall’altra parte dell’Oceano…

Sì, sono nata in Venezuela da una famiglia molto benestante. Siamo tre fratelli: ho una sorella gemella e un fratello più grande. Fin da piccolina, mi piaceva giocare a fare l’artista… si vede che avevo già questa vena. Se vedevo uno scalino o un rialzo, ci salivo sopra, giocando a fare la vedette, la soubrette, la cantante o la ballerina. Ce l’avevo nel sangue. Da adolescente, mentre frequentavo il liceo, mi sono iscritta a un corso di teatro. Era  teatro sperimentale, che mi ha fatto scoprire la mia passione. Ho deciso, così, di fare l’attrice. Ero ancora minorenne e quando manifestai a mio padre questo proposito, mi trovai contro un muro. Perché lui vedeva per me una carriera universitaria. Sai, una volta si pensava che gli artisti, in realtà, fossero solo dei perditempo. Per anni dovetti combattere davvero una guerra con mio padre, per ottenere di potermi iscrivere a una scuola di arte drammatica. Questo in Venezuela, dove sono nata, da padre emigrato italiano e madre venezuelana. Insomma, ho fatto come la goccia che scava la pietra e alla fine l’ho spuntata. Entrai in una scuola per artisti, gestita da un grandissimo drammaturgo, e da lì ho cominciato a fare teatro per i bambini, teatro-musical, che mi è piaciuto da morire. Il pubblico più bello sono i bambini, perché non mentono mai, sono molto diretti, a differenza degli adulti che sono spesso politici, per non dire ipocriti e magari ti dicono che sei brava quando invece pensano esattamente il contrario. Iniziai anche a lavorare per la televisione venezuelana, per alcuni pilots, ma a quel punto mi venne il desiderio di venire in Italia e di tentare la strada artistica qui . E anche in questo caso ho dovuto combattere con mio padre. Essendo anche pittrice, gli dissi che voleva venire a studiare a Brera… Alla fin fine, la realtà è molto diversa da come te la immagini dopo avere vissuto in una famiglia che ti ha messo sotto una campana di vetro, che ti ha sempre viziato, perché, come ti dicevo, noi stavamo molto bene economicamente. Arrivai a Genova, dove c’era una mia zia, e mi appoggiavo a lei, però, dopo, ho voluto spiccare il volo da sola verso le mie passioni. Lì ho cominciato a scontrarmi con il fatto che la vita è più dura di quello che  puoi immaginare. Soprattutto quando sei da sola. Sono stati tempi molto difficili… parliamo degli anni Novanta.

Una volta in Italia, come ti sei inserita nello show-business? 

Mi sono iscritta a delle scuole di danza, balli latino-americani, tango argentino, ma c’era il problema che non avevo il compagno per ballare e, alla fin fine, ho dovuto smettere. Mi sono allora buttata sulla danza orientale e lì è nata l’altra mia passione: ho studiato sia in Italia sia in Marocco: ho frequentato dei workshops con grandi artisti e a questo mi sono dedicata per un bel po’ di anni. Facevo danza nei locali, in feste private, compleanni, cose così.

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E la tua carriera come attrice che sviluppi ha avuto?

Come attrice facevo molti provini, ma stando al Nord non c’era una grande possibilità in questo senso. Non è come stare a Roma. Da Genova mi ero trasferita, nel frattempo, prima a Torino e poi a Milano. Dimenticavo che quando ero a Genova, avevo fatto domanda per il teatro Carlo Felice e mi avevano presa come comparsa in alcune opere, un Falstaff e qualche altra cosa. Poi, mi arrivò la prima proposta televisiva, mi chiamò Maccio Capatonda, dopo un provino, per una serie, Mario. Feci una scena con le sorelle Lewinski e a Maccio piacque come lavoravo, si complimentò con me: “Ho scelto bene, sei molto brava!”. Da lì mi ha chiamato per altri quattro o cinque lavori, Casa Mariottide e una comparsata in Italiano medio. In uno feci Ramona la Porcona (ride), un ruolo un po’ particolare, di questa prostituta… in televisione, purtroppo, il cliché è quello. Quando una è un po’ formosa… io allora ero anche bionda… quindi: “Facciamole fare la puttana o la escort…” (ride). Finché mi arrivò la proposta, dopo un casting che avevo fatto con Carmine Caraviello, a Novara, per il ruolo di una monaca, Madre Clara (ma non avevo il tipico costume ecclesiastico), che per me è stata una soddisfazione enorme…

Come dire? Dal profano al sacro…

Esatto. E fu una bellissima opportunità. Perché, pur essendo un ruolo piccolo, significava già dimostrare di essere un’attrice e non soltanto una bella statuina. Il film era un lungometraggio, dal titolo Souls. Era un horror e mi pare l’abbiamo poi trasformato come una specie di miniserie. In quel periodo ho fatto altri cortometraggi, ad esempio Rosita, in cui delineavo un personaggio comico: una donna di servizio che ho cercato di creare un po’ buffa, truccata in modo da ricordare Frieda Kahlo e con un tipo di humour molto sudamericano… che non so se in Italia venga capito. In Ci vedremo al tramonto ho interpretato, invece, il personaggio di una manager, tutta sexy, scollata. Questo era un lungometraggio. Nel 2014, venni chiamata anche a Forum

Forum la trasmissione tv? Ma ti pagano, lì, come funziona l’ingaggio?

Sì, e pagano anche bene. Fu una bella soddisfazione e poi Mediaset ci ha trattato benissimo, devo dire. Funziona così: loro hanno una storia, che non so se sia vera o creata dagli autori, forse un 50%, penso io… qualcuna vera, qualcuna magari mezza camuffata, cose del genere. E ingaggiano attori a interpretare delle parti. Alla fin fine, prendono spesso gente che fa teatro, recitazione, figurazioni. Devi sostenere un provino, comunque. Mi sarebbe piaciuto lavorare ancora con loro, ma dicono che dopo che sei apparso una volta, per sei, sette anni non ti richiamano, perché poi la gente capirebbe il trucco. Mi ricordo che era il periodo dei terremoti, infatti il giorno in cui abbiamo registrato, tutti i riflettori si erano messi a tremare (ride). Loro usano una formula mista, da quello che ho capito, perché alcune cose sono registrate e altre in diretta. E io ho avuto la fortuna, o sfortuna, di girare in diretta. C’è anche spazio all’improvvisazione, perché gli autori ti spiegano la storia e poi tu e l’interlocutore lo gestite, però dietro la telecamera c’è sempre qualcuno che controlla e che ti dà delle indicazioni…

Quindi, hai fatto diverse sit-com, da Capatonda in avanti…

Sì… ad esempio in I soliti idioti loro volevano che facessi una parte completamente nuda, durante una festa. Io non avevo problemi e gli dissi che ne potevamo parlare, se avessimo trovato un accordo, firmando qualche contrattino (ride). Ma traccheggiarono e non se ne fece niente. Fui anche ingaggiata per un progetto, che però è rimasto nel cassetto: si intitolava Orrido Hotel,  su un hotel dell’orrore, appunto, dove il receptionist era tipo Dracula, c’era una Principessa del Male. Era anche questa una serie, una sit-com che penso non sia mai uscita. Un peccato, perché era un bel prodotto, di qualità, e anche gli attori erano bravi. Lo abbiamo girato in un hotel a Bergamo ma, come dicevo, non penso sia mai uscito. Mi è capitato spesso di girare cose che poi non sono uscite: ad esempio, in Venezuela avevo fatto un bel personaggio in un pilota, sul tema degli adolescenti e della droga, ma anche quello è rimasto inedito. Sempre in quel periodo feci un cortometraggio che si chiamava 101, diretto da un ragazzo messicano che si è poi trasferito in Germania… e lui mi spronava molto per lasciare questo Paese e trasferirmi anch’io in Germania. Pure in questo corto ci arrivai tramite provini, che  ho sempre considerato le mie “vittorie”, perché essere richiamata dopo un provino mi ha sempre dato molta soddisfazione. Anche 101 era una commedia. La mia carriera l’ho bilanciata tra cose di tenore comico e adesso quasi esclusivamente l’horror…

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E qui arriviamo al punto, l’horror: è un genere che hai spesso praticato…

L’horror mi è sempre piaciuto, fin da piccola. Grazie a una delle mie zie che mi ha fatto conoscere il cinema, dai film di Walt Disney a cose come L’esorcista. Avevo paura, ma penso che lì mi sia nata questa passione. Qui in Italia fui chiamata per fare un provino, per un film di cui adesso non ricordo il titolo, in cui mi chiedevano di interpretare una donna posseduta dal diavolo. Così, feci un filmato, un provino video perché il regista stava lontano: mi aveva chiesto di creare un mix tra qualcosa di orrorifico ed erotico. Insomma, questo mio provino gli era molto piaciuto ma, anche in questo caso, la faccenda era rimasta in sospeso. Comunque, tramite degli amici conobbi Paolo Del Fiol e anche lui mi chiese di fare un provino mimando una possessione diabolica – anche perché gli avevo parlato di quell’altra esperienza che dicevo. Ed è da qui che mi prese per un cortometraggio, che abbiamo girato in una sola giornata, un’estate: si intitola Malachia. Questo corto fa parte di un horror antologico di Davide Pesca, I dieci comandamenti o Suffering Bible. Lì facevo parte di un gruppo di poliziotti che scoprivano una maledizione connessa con l’antica Grecia. Un corto molto splatter dove alla fine io vengo posseduta dal demonio, che era interpretato dal cane del regista, di Del Fiol (ride). Questo ha fatto sì che poi mi venisse proposta la parte in Devil Times Two, sempre di Del Fiol, che è stato il ruolo migliore che ho fatto o che, perlomeno, mi ha dato la maggiore soddisfazione. Perché era importante, impegnativo e complesso. Praticamente, mi triplicavo: tre persone in una. Non precisamente Padre, Figlio e Spirito Santo, ma… (ride). Quattro parti, anzi, perché ho anche quella di un artista di cabaret… Non sono la protagonista del film, ma, di fatto, molti mi dicono che come parte femminile, la mia è quella che rimane più impressa. Perché è molto caratterizzata.

Infatti, lì sei parecchio eclettica…

Ho dato l’anima per quel film, che è stato anche parecchio faticoso, ci ho quasi rimesso la salute. Tutto girato d’estate e io indossavo un vestito da suora di poliestere… puoi immaginare! Io soffro il caldo già quando ci sono 18 gradi, figuriamoci in piena estate. Nelle ultime scene, ricordo che stavo malissimo, avevo cali di pressione che mi facevano quasi svenire. Ma sono state anche scene in cui, secondo il regista, ho dato tantissimo. Mi entrava questo “animale”… Ho degli amici che quando mi vedono, dicono che io sono un “animale da palcoscenico”, perché mi trasformo. A vedermi magari non si direbbe, ma quando prendo tra le mani un personaggio, lo faccio talmente mio che alla fin fine divento proprio un animale. È stata una bella sfida, anche rivedermi sullo schermo più brutta di quello che sono (ride). Qualcosa del genere lo avevo già fatto per il cortometraggio che dicevo prima, Rosita, dove mi ero imbruttiva molto per interpretare questa cameriera in stile Frida Kahlo. Anche lì ero stata titubante prima di accettare la parte, per non vedermi brutta. Ma credo che questo sia uno sbaglio di un po’ tutte le attrici, di non volersi vedere brutte. Io credo di avere raggiunto una certa maturità come donna, come attrice e artista, per cui, a proposito di Devil Times Two, mi sono detta “Perché no?”. Alla fin fine, è la cosa più interessante trasformarsi, diventare buffa o orrenda, come Madre Dolores nel film di Del Fiol, che è bruttissima e dimostra molti più anni di quelli che ho. Quando ho letto il personaggio sul copione, mi è venuto un brivido e ho pensato: “Come creerò questo carattere?”. Avevo pensato all’inizio di farne una madre dolce, morbida, fino al momento in cui si scopre invece che ha dentro di sé una natura da demone. Poi invece, ho scelto di renderlo un personaggio più duro, più severo e più enigmatico. L’ho studiato molto il personaggio di madre Dolores, come guardava, come si muoveva, come parlava, in maniera molto posata, mentre io tendo, invece, a parlare in modo veloce.

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Amira con Paolo Del Fiol

Che cosa ne pensi di Devil Times Two nel suo complesso? 

Il film lo giudico originale, qualcosa che va fuori dalle righe. Non mi piace la scelta di ispirarsi agli anni Settanta, perché io non amo molto queste cose: ad esempio, la sgranatura dell’immagine non mi fa impazzire, e non mi piacciono i colori “trasformati”, come succede nelle fotografie di quell’epoca. Ma è un mio gusto personale, questo. Il mio ruolo, ripeto, mi piace molto. Ho sofferto molto anche il doppiaggio, che non mi è piaciuto, perché credo di avere perso intensità e credibilità. Quando ho interpretato Madre Dolores, l’ho fatta proprio molto viscerale, perché recito molto di pancia… io devo sentire le cose, le vivo profondamente, nello stile Stanislawski, perché arrivo da quella scuola. Adesso, sempre Del Fiol mi ha proposto di interpretare il personaggio di una psicologa nel suo nuovo film, A Meltykiss lost in the abyss – Un dolce bacio perduto nell’abisso. Un ruolo piccolo ma interessante. Tutti i ruoli che io accetto, piccoli o grandi, li faccio parte di me e li vivo come ho già detto visceralmente, li amo.

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