Gli uomini, le donne e i mostri di Kenneth Anger

Capitolo 1: il cinema come arte malvagia
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Più della musica, più della letteratura, è il cinema l’arte designata all’espressione dell’Occulto. Avanguardie nascoste, parallele alla storia ufficiale, entrambi esplorano nuove categorie del pensiero, e dunque della rappresentazione e dell’immaginazione; ed è nel cinema sperimentale che la componente evocativa del mezzo si manifesta più liberamente. In fondo, cos’è questo se non la controparte ermetica, iniziatica, di quello narrativo? Il matrimonio del mondo-cinema con l’occultismo nella sua accezione più pratica e cerimoniale è combinato dietro le quinte fin dall’inizio del ‘900: il suo riconoscimento fa però i conti con l’ostracismo dei suoi stessi attori, sempre pronti a rinnegare una volta concluso il proprio periodo compromettente. Per districarsi in un percorso labirintico, occorre una bussola, un punto cardinale; e questo ruolo di guida non può che spettare a Kenneth Anger. Lui, che si è mosso come un congiurato nel secolo breve, mettendo mano direttamente o indirettamente in tutto quanto di sconvolgente via sia avvenuto in termini artistici e controculturali, è la chiave per riavvolgere il mandala senza fine delle contaminazioni. Kenneth Anger è forse la sola grande star del cinema sperimentale, l’unico a venire regolarmente citato a fianco di Fellini a Kubrick (cosa che raramente accade per nomi tanto centrali quanto oscuri, come Jonas Mekas o Derek Jarman, o ai “turisti” Wharol o Debord). Teorizzato con le avanguardie sovietiche e francesi di inizio secolo, questa forma espressiva ha trovato la sua apoteosi negli anni ’60, quando una serie di convergenze artistiche e culturali portò l’industria dell’intrattenimento a confrontarsi dialetticamente con quel sottobosco da sempre ghettizzato nell’“underground” (“Un termine inventato da gente che scrive su Newsweek”, dirà lui, che di quella stagione costituirà il guru). Ma il virus-Anger cova da molto prima, all’alba del moderno concetto stesso di cinema. L’era dello Studio system, della golden age, e ovviamente della rinnovata ossessione occidentale per la magia cerimoniale che coincide con la Seconda Guerra Mondiale. E’ lì che ha origine la sorgente di un flusso sommerso quanto florido di visioni rivelate, libidinali, omoerotiche e profetizzanti, un reticolato continuo di influenze e coinvolgimenti, capace di raggiungere una risonanza senza precedenti nella storia delle religioni esoteriche. Anger lega tutto questo, rovescia su Hollywood il suo stesso rimosso, e diviene così il collante e il fattore patogeno presente nel DNA immacolato dell’immaginario moderno. “Ho sempre considerato il cinema un’arte malvagia”, recita la più celebre citazione del regista, che di questo assunto è il messia oscuro e predestinato. Amante dell’arte e amichetto d’infanzia di Shirley Temple (ma sarà vero?), il primo incontro di Kenneth Anger con il grande schermo, a sentire le sue dichiarazioni di “bambino prodigio mai cresciuto” dell’upper class bianca californiana, si avrebbe con un piccolo ruolo nel Sogno di Una Notte di Mezza Estate della Warner (1935).

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Fin troppo programmatico: il testo più ermetico di Shakespeare, così intriso di iconografia pagana e sessualità deviante e liberata, non poteva che esserne l’anti-battesimo. Qui si scontra il primo problema: Anger in quel film non recitò mai. Il suo ruolo fu interpretato da una ragazzina di nome Sheila Brown. Dunque? Dunque Anger è un cazzaro. E’ il narratore inaffidabile della sua stessa storia, il primo dover essere messo in discussione. L’unica grande biografia lui dedicata, da cui proviene la maggior parte della documentazione, è un imprescindibile e non-autorizzato libro scritto da Bill Landis nel ’95. Allo scrittore è valso un malocchio. La verità, ammesso che esista, non si racconta ai non-iniziati; possiamo ricostruirla solo indirettamente, evidenziando gli effetti del suo corpus cinematografico ufficiale (il Magick Lantern Cycle) sull’arte e le persone con esso entrate in contatto. La sua vita è una liturgia sacerdotale, un atto performativo; come lo fu quella di Aleister Crowley, suo idolo e primo esoterista ad intuire l’interconnessione della pratica magica con lo spettacolo e i media, in una sorta di teorizzazione ante-litteram delle iperstizioni di Nick Land. Crowley, ovviamente: è lui la figura pivotale dell’esoterismo novecentesco, padre della para-religione iniziatica di Thelema spettro sovrintendente ogni opera di Kenneth Anger. A infettare la mente dell’adolescente Kenneth con lo spettro di Crowley è un giovanotto di nome Curtis Harrington, forse la figura più importante dei suoi primi anni di vita. Coetaneo, omosessuale come lui, cinefilo quando ancora non esisteva il termine, thelemita “amatoriale”, futuro regista horror alla corte di Roger Corman, eroe a posteriori del futuro New Queer Cinema dei primi ’90; l’amicizia tra Harrington e Anger è destinata a durare nei decenni. Nel 1945 Harrington è protetto e allievo di Maya Deren, immigrata ucraina pioniera del cinema d’avanguardia e sacerdotessa voodoo praticante. Pur non incontrandosi mai di persona (“quella black magic shit mi spaventava”), Deren attraverso Harrington trascina Anger fuori dall’amata Hollywood dell’età dell’oro (che resterà per sempre sullo sfondo dei suoi film, inconscio collettivo visuale a cui attingere) iniziandolo al simbolismo. Una trasmissione inesorabile: dalla strega voodoo haitiano-ucraina, al guru queer e crowleyano esaltato, fino al rampollo borghese amichetto di Shirley Temple. Anger diventa regista e dunque artista con Fireworks (1947), fantasia bdsm-omosessuale, vuole la leggenda, girata in casa con amici durante un weekend di assenza dei genitori. L’anno dopo, il cortometraggio arriva nelle mani di Jean Coctaeu in persona, autentico one-man-band di una factory fortemente politicizzata, vicina al circolo di Jean-Paul Sartre, dedita a sperimentare il mezzo-cinema aggiornando i vecchi canoni surrealisti dei decenni precedenti. Coctaeu proietterà e premierà il film al Festival di Biarritz del 1949, invitando personalmente il giovane Anger a Parigi.

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Fireworks (1947)

La stagione francese del regista è un passaggio solitamente dimenticato nella sua schizofrenica carriera; in una proiezione speciale organizzata dallo stesso Coctaeu, Anger, emozionato come uno studentello anglosassone in Erasmus nella capitale della decadenza europea, presenta il suo corto a un pubblico selezionato: sono presenti Jean Genet, Marcel Carné a Henri Langlois. L’entusiasmo dello scrittore-ladro, anima a lui così affine, è facile intuirlo: l’unico film di Genet, Un Chant D’Amour, uscirà nel 1950, e dovrà moltissimo a quella singola proiezione. E’ però quasi assurdo immaginare la futura “bestia” dell’underground americano alla corte del Re della Cinémathèque; Langlois lo vorrà a lavorare per dodici anni all’archivio, e Anger si dividerà tra Los Angeles e Parigi fino ai primi ’60. Allievo di Coctaeu, mantenuto da Langlois, Kenneth Anger maneggia pizze e traffica con i negativi dell’Ejzenstejn messicano; gira la pantomima Rabbit Moon (1950) in un teatro di posa e il documentario Fuochi D’Artificio (1953) in vacanza a Villa D’Este. Entra in contatto con la nascente redazione dei Cahiers di André Bazin. Fa fatica a inserirsi (l’ambiente engagé sospetta l’americano), ma Jacques Rivette e Francois Truffaut in particolare vanno matti per i suoi aneddoti su Los Angeles, sulla Hollywood dei bei tempi. Anger fa la cosa che gli riesce meglio: racconta stronzate, ricicla voci di seconda mano e dicerie diffamatorie. Qualche anno più tardi, in procinto di tornare in USA, l’editore Pauvert gli chiederà materiale per un softcore scandalistico che cavalchi le stesse ossessioni dei futuri autori della Nouvelle Vague. Ha appena pubblicato Historie D’O, ci vuole un seguito per la sua collana. Anger non avrà dubbi su che tasto battere, e con i diritti di Hollywood Babylonia ci camperà tutta la vita. La Cinémathèque parigina, Jeanc Coctaeu, i Cahiers e la nascita della critica semiotica e decostruzionista da una parte; il sottobosco para-satanista californiano con tutti i suoi mostri dall’altra. Per vent’anni Anger tiene i piedi in due universi. Quando è a Los Angeles, raggiunge Harrington, e insieme bazzicano un mondo che pare uscito dagli sproloqui più neri dell’LA Quartet di James Ellroy. Le tracce di Crowley sono ovunque, e Anger le segue: avvia un rapporto a distanza con Alfred Kinsey, pioniere della sessuologia e insospettabile cultore dei culti misterici thelemici. Anger lo va a trovare: espone le sue teorie artistiche e si masturba a comando nel suoi laboratorio. Come nella Parigi della belle époque, la recrudescenza esoterica esce dalle cantine di drogati ed entra di soppiatto nei palazzi accademici. Nei suoi brevi ritorni a casa, Harrington lo introduce al salotto di Samson De Brier, inquietante personaggio proprietario di un salone letterario dedito a rituali evocativi ed esposizione di paccottiglia euro-orientalista; Anger e Harrington stringono amicizia con Anais Nin, Jack Nicholson, Dennis Hopper e sopratutto, nel 1952, la vedova Marjorie Cameron.

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Alfred Kinsey e Kenneth Anger nell’Abbazia di Thelema

Marjorie è la cosa più vicina ad una musa per gli anni ’50 angeriani. Insieme al recentemente scomparso Jack Parsons, la seguace americana del defunto Crowley conduceva non meglio chiariti esperimenti di natura chimico-sessuale; formalmente “scomunicati” dalla chiesa spirituale dell’Astrum Argentum, ed espulsi dall’organizzazione statunitense dell’Ordo Templi Orientis, Parsons e Cameron avevano già incontrato gli onori della cronaca. Jack l’aveva conosciuta in seguito ad un’evocazione condotta assieme a R.L. Hubbard; Marjorie l’aveva aiutato a promulgare la dottrina crowleyana in America. Pochi mesi prima dell’incontro con Anger, Jack Parsons morì in un misterioso incidente di laboratorio, e Marjorie proseguì la sua missione avviando una comune dedita all’orgia interraziale in una fattoria in California. L’obbiettivo era quello di generare una nuova stirpe di moonchildren, sintesi di tutte le etnie destinata ad ereditare la Terra; con buona pace delle eminenze europee dell’Astrum Argentum come Gerald Yorke, che ha da tempo decretato i thelemiti americani “zoticoni pericolosi e fuori controllo”. Anger incontra Marjorie Cameron nel 1952, ad una delle feste di De Brier. Non ha dubbi: “è una strega”. La vuole al centro del suo  personale manifesto, Inauguration of The Pleasure Dome. Ispirato vagamente ad alcuni versi del Kubla Kahna di Coleridge, il film è in realtà un cut-up di simboli crwoleyani: nella fantasticheria, un corteo di divinità pagane e plurireligiose si riuniscono alla corte del demone Babalon, la “Donna Scarlatta” (Cameron), per celebrare ritualmente la venuta dell’Eone di Horus. Secondo la cosmogonia thelemica, questa Era del Figlio si aprirà con la fine del ventesimo secolo, segnando così la conclusione dell’Eone di Osiride, l’Era del Padre segnata da oscurantismo e repressione religiosa. Alla corte di Bablon-Cameron, in ruoli vari, appaiono De Brier, Harrington, lo stesso Anger e l’amica Anais Nin. Inauguration of The Pleasure Dome (1954) è forse il caplavoro di Kenneth Anger. Il film viene ovviamente completato in Europa, dove inizia il giro dei festival sotto il patrocinio dei mecenati francesi. La lista degli insospettabili “seguaci” si allunga. Innamoratosi di Fireworks (“Il più esaltante utilizzo del cinema mai fatto”), Tennessee Williams avvia con il regista una corrispondenza che durerà tutta la vita. Nello stesso periodo, un giovanissimo Stan Brakhage, neanche ventenne, già innamorato della potenza anti-narrativa di Anger, con cui condivide l’amore per il muto, l’arte visiva e il rifiuto per le meccaniche produttive del sistema americano, insiste per avviare con lui un misterioso progetto; la polizia sequestra tutto per oscenità, e ad oggi non ne restano tracce. Nell’estate del ’55, Kenneth passa tre mesi assieme ad Alfred Kinsey. La loro meta: l’Abbazia di Thelema a Cefalù, piccola tenuta dove Aleister Crowley portò i suoi rituali di magia sexualis prima di venirne cacciato a forza da Mussolini nel ’23. Il pacioso biologo e il ventinovenne invasato regista trascorrono l’estate insieme, scrostando i muri in rovina e fotografando gli affreschi. I contadini siciliani li accolgono lasciando gatti mutilati sulla soglia di casa. Kinsey morirà un anno dopo, e Anger inizierà i preparativi per lasciare l’Europa e tornare stabilmente in USA.