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Troll

2022
REGIA:
Roar Uthaug
CAST:
Ine Marie Wilmann (Nora Tidemann)
Kim Falck (Andreas Isaksen)
Mads Sjøgård Pettersen (Captain Kristoffer Holm)

Il nostro giudizio

Troll è un film del 2022, diretto da Roar Uthaug.

Da che mondo è mondo, gli scettici seguaci di San Tommaso hanno sempre seguito un semplice fondamentale comandamento: “se non vedo, non credo”. Ma se, come lo strambo Tobias (Gerard. B. Eidsvold), si ha la (s)fortuna di essere un misantropo eremita con parecchie rotelle fuori posto e un vorace appetito complottista per qual si voglia fantasiosa leggende nordica, beh, allora il proprio fondamentale comandamento non potrà che essere: “per vederlo, devi crederci”. E se poi, manco a farlo apposta, l’oscuro oggetto del proprio credo si rivela essere nientemeno che un gigantesco troll di montagna in pietra e ossa, ecco che di filmica sospensione dell’incredulità ne servirà  a vagonate. Ma d’altronde da un film come Troll che, fin dal titolo, nulla vuol nascondere circa il proprio roboante e distruttivo essere, non serve aspettarsi nulla di particolarmente astruso o trascendentale che non sia una sana spensierata ora e quaranta di mitragliate, ruggiti e parecchia apocalisse assicurata. Soprattutto se di mezzo c’è un tizio come il buon vecchio Roar Uthaug, capace come pochi di appropriarsi della muscolare poetica action made in USA per contaminarla con i generi più instabili e variegati, al punto da trasportare di peso lo slasher fin sugli innevati cucuzzoli scandinavi di Cold Prey e addirittura seppellendo le imponenti valli di Stavanger sotto le mastodontiche onde di un catastrofico e canonico disaster movie come The Wave.

Stavolta, però, il nostro caro Michael Bay dei fiordi sembra aver deciso di spararla davvero grossa, cavalcando il recentissimo revival cinematografico dedicato ad alcuni fra i più granitici fra i miti dell’estremo Nord – si veda ad esempio il curioso Mortal del conterraneo André Øvredal – per mettere cacofonicamente in scena un nudo e crudo monster movie in salsa fårikål che, non fosse per carri armati, missili nucleari e tecnologici ammennicoli vari, parrebbe uscito dritto dritto dalle pagine di un Tolkien sotto anfetamine. Anche perché la trama di questo Troll la si potrebbe tranquillamente ridurre al bugiardino di una confezione di supposte, laddove, durante i lavori di trivellazione per la costruzione di un tunnel in quel del monte Drove – per la gioia degli agguerriti No Tav ben nutriti di merluzzo affumicato –, un’improvvisa frana risveglia nientepopodimeno che l’ultimo gigantesco mostracchione di pietra partorito direttamente dalle celebri saghe nordiche, nemico giurato tanto della luce del sole quanto del fetido sangue cristiano, deciso stavolta a raggiungere a piedi il centro di Oslo per riunirsi ai resti mortali della sua razza ormai estinta ancora conservanti, udite udite, nientemeno che nei sotterranei del palazzo reale. A porre freno alla titanica avanzata di questo incacchiatissimo Godzilla norvegese verrà chiamata una task force formata dal Capitano Kristoffer (Mads Sjøgård Pettersen), dall’assistente governativo Andreas Isaksen (Kim Falck) e dalla tostissima archeologa Nora Tidemann (Ine Marie Wilmann) che, pur senza l’acrobatica prestanza atletica della collega Lara Croft/Alicia Vikander di Tomb Rider, avrà modo di imporsi quale eroina assoluta di questa adrenalinica quanto sconclusionata avventura action-mitologica a confronto della quale un qualunque script di George R. R. Martin non può che impallidire miseramente. In senso ironico, ovviamente. Anche se, a dire il vero, così come ci ricorda la stessa Nora: “l’incredibile non è per forza impossibile”. Quasi mai almeno…

È inutile girarci troppo introno: comunque la si voglia mettere, non ci possono che essere due modi per approcciarsi a un film come Troll. In primis da aridi e incrollabili scettici, per i quali la sola idea di uno sfacciatissimo umanoide di pietra in formato extra large capace di mimetizzarsi con la stessa giganteggiante grazia di un Transformers appare tanto indigesta quanto i logorroici discorsi motivazional-patriottici alla Independence Day in salsa testosteronica di un gruppuscolo di militari che paiono scappati dalle sessioni di addestramento di Starship Troopers. Oppure, in secundis, da religiosissimi adepti e incrollabili creduloni delle più o meno gloriose pellicole di mostracchioni distruttivi dei bei tempi andati, per i quali questo gustoso Pacific Rim in secca e senza la minima ombra di qual si voglia jaeger non può che apparire un divertissement il cui unico pietroso kaijū vale certamente da solo il prezzo dell’abbonamento. Avesse scelto di prendersi un po’ meno sul serio, seguendo piuttosto l’esempio di quel piccolo capolavoro di Troll Hunter firmato da Øvredal piuttosto che l’ironicissimo Colossal di Vigalondo, la creatura di Uthaug ne avrebbe certamente guadagnato in genuinità e un poco anche in onestà intellettuale, tenendo conto del tipo di prodotto di cui si sta parlando e, cosa più importante, della logica integralmente mainstream che ne sta alla base. Ma d’altronde si sa: se Maometto non va alla montagna, allora è la montagna a dover andare da Maometto. Anche quando la montagna in questione ha due braccia, due gambe, una coda e il grugno incacchiato di Rino Gattuso in finale di Champions League.