Featured Image

Macbeth

1971
Titolo Originale:
The Tragedy of Macbeth
REGIA:
Roman Polanski
CAST:
Jon Finch (Macbeth)
Francesca Annis (Lady Macbeth)
Martin Shaw (Banquo)

Il nostro giudizio

Macbeth è un film del 1971 diretto da Roman Polański.

Se passiamo in rassegna le numerose trasposizioni cinematografiche del Macbeth di William Shakespeare (da Orson Welles ad Akira Kurosawa, da Béla Tarr al recente film di Joel Coen), una in particolare attira la nostra attenzione per il suo carattere marcatamente nocturniano, cioè l’epico e orrorifico Macbeth di Roman Polanski: così tonitruante, sfarzoso, eccessivo e grandguignolesco da rispettare e al contempo trascendere l’opera shakespeariana, della quale rimane comunque uno degli adattamenti più fedeli nella sceneggiatura e nello spirito che guida l’opera. Il film, se da un lato rispecchia lo stile crudo e violento tipico spesso di Polanski, è allo stesso tempo una pellicola anomala per questo autore, il quale si muove abitualmente nel thriller psicologico, nell’horror, nel noir e nei territori del grottesco, e che affronta con il Macbeth la sua unica incursione nel dramma epico, facendolo però con una particolare impronta registica volta a rappresentare il macabro – è in assoluto il film più violento del Nostro. A dire il vero, se c’è una tragedia che poteva essere trasposta da Polanski, essa è proprio il Macbeth, così nera, disperata, violenta e orrorifica da rispecchiarsi perfettamente nelle corde del regista. In particolare, The Tragedy of Macbeth (questo è il titolo originale) fu il primo film realizzato da Polanski dopo il tristemente noto omicidio della moglie Sharon Tate, a seguito del quale l’autore cadde in depressione, e a lungo si è disquisito su quanto questo sciagurato evento abbia influenzato l’insistita e sanguinaria rappresentazione della morte in Macbeth: il che è sicuramente vero, ma fino a un certo punto, poiché già pellicole antecedenti al massacro come Repulsion e Rosemary’s Baby grondavano di macabro da ogni inquadratura. Co-prodotto dal celebre Hugh Hefner di Playboy, il film fu sceneggiato dallo stesso Polanski insieme a Kenneth Tynan, mantenendo invariata l’ambientazione e attenendosi in modo abbastanza scrupoloso a Shakespeare, grazie proprio alla perizia storica di Tynan, critico teatrale e drammaturgo. Come nel testo teatrale, la storia è ambientata in una cupa Scozia medievale, e ha inizio quando il generale Macbeth (Jon Finch), di ritorno da una guerra insieme al compare Banquo (Martin Shaw), incontra tre streghe: le megere predicono a Macbeth la futura ascesa al trono di Scozia, e a Banquo la generazione di una stirpe di Re.

Il guerriero comincia pian piano a credere realmente alla profezia: così, insieme alla moglie Lady Macbeth (Francesca Annis), progetta l’omicidio del sovrano, che porta a compimento egli stesso pugnalandolo nel sonno e facendo ricadere la colpa su due guardie, che vengono poi giustiziate seduta stante. Macbeth viene così incoronato Re di Scozia, ma ancora non gli basta, poiché la profezia nominava anche Banquo come padre di futuri Re, così fa uccidere pure lui per mano di due sicari. La ferocia e la tirannia di Macbeth non conoscono limiti, tanto da sterminare la famiglia del nobile Macduff (Terence Bayler), e una nuova visita alle streghe lo convince della sua invincibilità. Ma la sete di potere e la violenza sono foriere di sciagure, prima per Lady Macbeth, che cade in preda a una grave malattia mentale e poi muore, infine per lo stesso Macbeth, che cade vittima di una rivolta dei nobili, i quali portano sul trono il legittimo erede Malcolm. Se si volesse trovare un paragone cinematografico per il Macbeth di Polanski, o un film da proiettare accanto ad esso in un ideale cineforum, la scelta più azzeccata cadrebbe non sulle altre trasposizioni dell’opera ma probabilmente su I diavoli (1971) di Ken Russell, peraltro all’incirca coevo nella realizzazione: un Medioevo barbaro, i protagonisti accecati dal potere e dalla follia, un carattere pantagruelico e all’insegna del Grand Guignol, sono infatti le basi che contraddistinguono le due opere, due classici del cinema dell’eccesso – ma anche il Caligola (1979) di Tinto Brass e Bob Guccione ci starebbe bene appaiato. Certo, Macbeth non si spinge negli eccessi sessuali e blasfemi dei film suddetti, ma la visionarietà, la cupezza, l’insistenza sulla violenza e i dettagli sanguinolenti, nonché l’elemento soprannaturale (la presenza delle streghe) e allucinatorio, rendono l’opera di Polanski più vicina a un horror che non a un dramma in costume. The Tragedy of Macbeth è impregnato di sadismo e nichilismo dalla prima all’ultima scena, con la quale forma un’ideale struttura circolare sull’infinità del Male – il nuovo principe Donalbain si reca a sua volta a cercare le tre streghe, che è forse l’unico tradimento di Polanski a Shakespeare (ma ben vengano tradimenti di questo genere, poiché la libertà del cinema è inviolabile).

L’incipit con le tre orrende e avvizzite megere – una è senza occhi – che seppelliscono una mano mozzata e un pugnale nel fango, all’interno di un paesaggio nebbioso e opprimente, è da brividi, degno dei più spaventosi film dell’orrore, così come l’incontro con Macbeth e Banquo (chissà se Castellari vi si è ispirato per Keoma), e pone le basi di quella che sarà la fotografia in tutto il film: diretta da Gilbert Taylor, è caratterizzata dalla predominanza dei toni grigi e cupi, in sintonia con l’atmosfera sulfurea che vi si respira, ma al contempo saturi e corposi (vedasi in particolare il rosso del sangue) come si faceva una volta, non sfumati e neutri come si usa oggi. Il che va a valorizzare tanto gli interni ricostruiti in studio, quanto soprattutto gli esterni grigi e fangosi della Gran Bretagna (che co-produceva insieme agli States), un tutt’uno che si fa teatro di lotte, omicidi e massacri con spade e mannaie, degni dei grandi kolossal epici per accuratezza di scenografie e costumi, ma con un gusto che sfocia persino nel gore e nello splatter – vedasi i dettagli sulle impiccagioni, i corpi martoriati, il sangue che sgorga dalle ferite, la decapitazione finale di Macbeth. Pur non affidandosi ad attori molto famosi, le interpretazioni sono notevoli, in particolare Jon Finch (già interprete di alcuni horror della Hammer e futuro protagonista del thriller Frenzy di Alfred Hitchcock), col suo sguardo folle e carico di odio e bramosia, ma anche la poco conosciuta Francesca Annis, dapprima risoluta complice del delitto e poi man mano in preda alla follia (ne vediamo anche un nudo semi-integrale, mentre vaga da sonnambula), e i comprimari. Durante i 140 minuti di durata, Polanski ci fa passare in rassegna una miriade di orrori, dal corpo insanguinato del Re alle guardie fatte letteralmente a pezzi, con arti e teste amputate, dalla visione dello spettro di Banquo orribilmente mutilato (i primi segnali della pazzia di Macbeth) al sabba delle altre streghe nude e avvizzite (in puro stile horror, non lontano dalla congrega moderna di Rosemary’s Baby), fino al massacro nel castello di Macduff (con tanto di stupri e infanticidi) e all’allucinazione premonitoria del protagonista che vede un ventre squarciato e una decapitazione – con una rappresentazione della follia tipicamente polanskiana. Tutto in Macbeth odora di morte, zolfo e fango, e l’epica – accompagnata dalle musiche gravi e ossessive dei The Third Ear Band – si fa anti-epica, nel senso della negazione di ogni epos mitologico per abbracciare una visione malvagia e nichilista dell’Uomo e della Storia: come in Shakespeare, e ancora più che in Shakespeare, il destino ineluttabile va a fondersi con la sete di potere, la violenza e la pazzia, col risultato di sprofondare in una conclusione apocalittica.