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Smiley Face Killers

2020
REGIA:
Tim Hunter
CAST:
Ronen Rubinstein (Jake Graham)
Mia Serafino (Keren)
Crispin Glover (figura incappucciata)

Il nostro giudizio

Smiley Face Killers è un film del 2020, diretto da  Tim Hunter.

La didascalia iniziale ci avvisa che la storia del film è ispirata a fatti realmente accaduti. Più che alla realtà, lo spunto scatenante è una teoria formulata da alcuni detective di New York in pensione sul preoccupante numero di giovani ritrovati annegati, circa 150, tra gli anni Novanta e gli anni Dieci. Molti di questi casi furono ritenuti fortuiti, altri senza spiegazione, ma secondo i detective un elemento comune, un filo rosso, sembra collegare queste morti: nei luoghi nelle vicinanze dei ritrovamenti era sempre possibile ritrovare dei graffiti raffiguranti una faccina sorridente. La teoria non venne mai confermata e rimase negli annali come una pura bizzarria investigativa, ma per lo scrittore Bret Easton Ellis, autore di American Psycho e Le regole dell’attrazione, è diventata un’occasione ghiotta per tornare su quel mondo che ha sempre descritto nelle sue opere, quello dei giovani inghiottiti dal vuoto della mondanità e intrappolati nella vacuità del culto del corpo e delle droghe. Insieme al produttore Braxton Pope, con cui aveva già prodotto The Canyons, e al regista Tim Hunter, molto attivo soprattutto nel mondo della televisione, in cui ha lavorato nei migliori show (da Twin Peaks a Breaking Bad), Ellis ritorna a scrivere una sceneggiatura con un thriller sul filo dell’horror, in cui i serial killer sono solo un espediente per approdare ai suoi soliti lidi, quelli popolati da giovani corpi in preda a malesseri sociali.

Il protagonista, Jake Graham (Ronen Rubenstein) è un aitante ragazzo, dedito alla cura del proprio corpo, ma con una storia di disturbi psichici, che pesa sui rapporti con i coetanei, mal gestita tramite l’utilizzo intermittente di psicofarmaci. La sua vita galleggia tra festini a base di droghe, routine di allenamento e passeggiate in bicicletta. Jake riceve sul proprio telefono messaggi inquietanti e senza senso, accompagnati da immagini orrorifiche e riferimenti esoterici, che alimentano la sua paranoia e la gelosia nei confronti di Keren (Mia Serafino), ancora in contatto con l’ex. In parallelo, una figura incappucciata (Crispin Glover) alla guida di un furgoncino bianco, che nel prologo vediamo sequestrare un ragazzo, insegue Jake senza che lui se ne accorga e gli hackera computer e smartphone. Pur sfociando nell’horror splatter nella parte finale, Smiley Face Killers può apparire alquanto deludente a chi si aspetta la classica storia di true crime o l’ennesimo epigono del filone dei serial killer, perché non ha una parte investigativa, non punta al body count e non ha una struttura narrativa confacente al sottogenere.

Nel mondo dei giovani immaginato da Ellis, gli adulti, che siano poliziotti o genitori, sono quasi del tutto espunti, lasciando i protagonisti alla mercé dei propri istinti sessuali e dello sballo da droghe, in balia di un male che è libero di circolare impunemente e che ben si mimetizza nelle pieghe del malessere sociale, nel fallimento delle connessioni sociali, che mai sono autentiche, mai chiarite o pacificate e che nella loro superficialità danno spazio all’orrore, che sia quello psicologico della depressione o quello più concreto degli omicidi. In questo contesto il male pullula, può compiere le azioni più abiette, come il massacro degli animali della fattoria nel prologo, molto disturbante e del tutto gratuito, e purtuttavia apparire perfettamente invisibile (“saranno stati dei ragazzini”, chiosa qualcuno al telefono) e avere vita lunga. La riflessione sociale sul male diventa, però, una zavorra difficile da sostenere per tutta la durata del film, in cui le lunghe sequenze sulla quotidianità banale di Jake azzerano il montare della tensione di cui un film del genere avrebbe bisogno. E che alla parte prettamente horror Ellis non abbia interesse alcuno è chiaramente testimoniato dalla noncuranza nel fornire allo spettatore ulteriori spiegazioni dietro le azioni dei serial killer, i quali si richiamano apertamente a un antico culto religioso collegato con l’acqua, senza però mai approfondire lo scopo della loro missione. Sono, banalmente, solo il male.