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Tolo Tolo

2020
REGIA:
Checco Zalone
CAST:
Checco Zalone (Pierfrancesco "Checco" Zalone)
Souleymane Sylla (Oumar)
Manda Touré (Idjaba)

Il nostro giudizio

Tolo Tolo è un film del 2020, diretto da Checco Zalone.

Costato poco più di 20 milioni di euro, Tolo Tolo ne ha incassati quasi 9 il solo giorno di Capodanno, superando persino il precedente Quo Vado. Un risultato prevedibile per Checco Zalone, ovvero Luca Medici, suo nome anagrafico, con cui firma, per la prima volta, anche la regia di questo suo quinto film che ha fatto ancora una volta la fortuna di Tao Due/Pietro Valsecchi. Per la cronaca, Tolo Tolo è la versione deformata (dal bimbetto nero  amico del protagonista) di Solo, Solo. Una sterile quanto idiota polemica sollevata da una scena del trailer (che nel film non c’è…) ha fatto da involontaria (?) pubblicità al film e attiene a una canzonetta, per la verità piuttosto volgare, interpretata da Zalone davanti a un migrante: «Immigrato/quanti spiccioli ti avrò già dato/ immigrato/mi prosciughi tutto il fatturato» e si conclude con un  «poi la sera la sorpresa a casa/ al mio ritorno ti ritrovo /senza permesso nel soggiorno/ ma mia moglie non è spaventata/ anzi sembra molto rilassata», come dire l’emigrato si è scopato la consorte del bianco che ha goduto delle note dimensioni del nero. La canzonetta, oggettivamente un coacerbo di luoghi comuni, ha stimolato, però, una spropositata alzata di scudi dei politicamente corretti di turno, capeggiata da Roberto Zaccaria, ex numero uno della Rai, costituzionalista, più volte parlamentare del Pd, oggi presidente del Cir, Consiglio italiano dei rifugiati, più noto come marito di Monica Guerritore («È una giustificazione del razzismo, direi quasi un’istigazione al razzismo») e sostenuta anche da Giuliano Cazzola, economista passato disinvoltamente dalla CGIL al Nuovo Centrodestra («Nei cabaret della Germania di Weimar si suonavano canzoncine ironiche sugli ebrei. Poi sappiamo come è finita»).

Senza considerare l’irrefrenabile anonimo universo degli onniscenti dei social. Detto ciò, il film di Zalone, nonostante la collaborazione di Paolo Virzì alla sceneggiatuta, non decolla. O meglio, io l’ho vissuto come un puzzle del quale non si riescono a comporre le tessere. Lui è lui, Zalone,  che vuole impiantare un sushi-bar nelle Murgie, regno della salsiccia, precipitando  la famiglia sul lastrico. Ma, sognatore irriducibile oltre che stronzo, fugge in Africa lasciando tutti nella merda. Trova un posto da cameriere in un resort kenyota, presto assalito e distrutto da perfidi miliziani rivoluzionari in mimetica e kalašnikov e, dopo una serie di traversie nel deserto libico, si ritrova su un barcone per l’Italia insieme con una bella africana di cui si innamora e con il suo (presunto)  figlioletto che gli si affeziona come a un papà (archetipo filmico visto e rivisto mille volte). Il tutto, però, è cinematograficamente confuso, anche a livello di montaggio, salvo alcune buone riprese dei paesaggi africani. Miscelato a scene con base musicale e addirittura a momenti di animazione che ne conducono lo sviluppo narrativo, il film cade in preda a una sorta di anarchia costruttiva. E, per la mancanza di una regia solida e univoca, finisce per trasformarsi in un minestrone difficilmente digeribile. Ogni iniziativa, presa a sé, non sarebbe male (per esempio la parte di animazione con le cicogne che portano in giro i bebé e quella finale di Zalone su una mongofiera in stile Il giro del mondo in 80 giorni, funziona bene),  ma il parziale non si amalgama al tutto. Finale “noir” – cinema nel cinema – laddove Zalone si esplicita per quello che è: un regista che sta girando un film.

Peccato che tutti gli attori neri vengano acciuffati dalla polizia e rimpatriati.  Girato tra Kenya, Marocco, Malta e Belgio in venti settimane di riprese, Tolo Tolo ha se non altro il pregio di farci conoscere i bravi attori africani Oumar Souleymane Sylla (il nero intellettuale Omar che tradirà Checco), Manda Touré (la bella Idjaba, pure lei ingannatrice) e il piccolo Nassor Said Birya (Doudou «come il cane di Berlusconi», è una delle battute del comico pugliese). Andando al sodo, in effetti, e fatti i debiti distinguo, Zalone si è mosso, come scrive Paolo Mereghetti  «proprio come faceva un altro grande attore-autore del cinema italiano, la cui crudeltà e sgradevolezza ne fecero il più vero e necessario dei nostri comici:  Alberto Sordi». Camei di una irriconoscibile Barbara Bouchet (una ricca tedesca ospite del resort africano), Nicola Di Bari (lo zio di Checco) e, nei panni di se stessi, Nicky Vendola (che ha accettato spiritosamente di prendersi in giro), Enrico Mentana e Massimo Giletti, il tutto condito da brani cult degli anni 70 (Di Bari, Endrigo). Solo per i nocturniani più integralisti: assistenti alla fotografia sono due dei Massaccesi, un cognome che non demorde mai.