Featured Image

Ferine

2019
Titolo Originale:
Ferine
REGIA:
Andrea Corsini
CAST:
Anna Della Rosa (Lei)
Alessandro Mor (Uomo)

Il nostro giudizio

Ferine è un cortometraggio del 2019, diretto da Andrea Corsini.

È sempre una piacevole sorpresa quando un film indipendente italiano approda nei festival che contano: poco tempo fa avevamo parlato dell’horror The Nest (Il Nido) di Roberto De Feo, in concorso a Locarno, mentre ora a Venezia sono in concorso il docu-film Fulci for Fake di Simone Scafidi e il cortometraggio Ferine (2019) di Andrea Corsini. Tutti segnali che fanno ben sperare per il cinema italiano, testimoniando che – a dispetto di quanto troppo spesso si dice – il talento alla lunga viene quasi sempre premiato. Ferine (17 minuti), unico cortometraggio horror in concorso alla 34esima Settimana Internazionale della Critica di Venezia 76, è un mistero, un enigma, fin dal titolo: inglese singolare o italiano plurale? Probabilmente il primo dei due, o entrambi, ma poco importa, perché coglie in nuce la sostanza del corto: cioè la bestialità, crudele e primitiva, il mito del “ragazzo selvaggio” descritto spesso nel cinema (ricordiamo Truffaut) e nella letteratura, messo qui al servizio di una vicenda horror molto sui generis. L’orrore emerge infatti in modo graduale, immergendoci prima in una serie di situazioni criptiche e poi deflagrando in una seconda parte sanguinosa e cannibalesca (con dettagli gore e splatter quasi fulciani), massima esplicazione della ferinità annunciata fin dal titolo.

Scritta dallo stesso Corsini, la storia ha come protagonista una donna senza nome (Anna Della Rosa, vista ne La grande bellezza): emerge da un bosco dopo aver ucciso un coniglio, si rifugia in una villa nei paraggi, si lava, esce, guida l’automobile fino all’esterno di un supermercato. Nel parcheggio deserto seduce un uomo (Alessandro Mor, visto nella serie-tv Rocco Schiavone), poi lo stordisce e lo porta nella villa: il redde rationem fra vittima e carnefice si svolge nel bosco, dove tutto è cominciato e dove tutto finisce, per essere destinato a riprendere ancora. Ferine non è solo un horror, è la manifestazione ed esplorazione di un mistero che solo alla fine viene parzialmente svelato, un corto giocato molto sull’attesa e sui silenzi, in cui la regia riesce a dettare i tempi giusti sfoggiando anche uno stile di rara eleganza: senza peccare però di pura esibizione estetica, ma mettendo lo stile raffinato al servizio della narrazione. Una storia che procede quasi senza dialoghi – la bravissima protagonista non parla mai, mentre la vittima recita poche battute – come in un incubo surreale: in certi momenti sembra quasi di trovarsi in un fumetto di Dylan Dog, dove l’astrazione si fonde con l’orrore. La donna, bella e selvaggia nel trucco e sempre a piedi nudi, è fondamentalmente un animale: è la personificazione della ferinità, un essere che esplica in silenzio le funzioni basilari di un organismo vivente – si procura il cibo, si lava, mangia, beve e si accoppia.

Ferine procede molto per immagini: significativa è l’inquadratura iniziale del sasso sollevato in aria e scagliato contro il coniglio (fuori campo, ma egualmente crudele), quasi come le scimmie di 2001: Odissea nello spazio brandivano le ossa, un’inquadratura che ritorna identica quando la donna alza il mattone per colpire il malcapitato. Ma non solo: le catene nel bosco, il montaggio paratattico fra il ventre della donna e il motore dell’auto (viene in mente Cronenberg), le simmetrie della villa, del giardino e del parcheggio deserto, abbacinante come la piazza dell’omicidio in Tenebre. Corsini sfoggia infatti regolarmente una serie di inquadrature geometriche, in particolare dentro e fuori la villa, che è un limbo fra il mondo primitivo della donna e la civiltà, un mistero destinato a essere svelato solo in parte. La fotografia è squisitamente cinematografica, da film di serie A, caratterizzata da colori molto accesi e contrastati, e la regia si concede alcune raffinatezze come il piano-sequenza di circa un minuto e mezzo nel parcheggio. Essendo Ferine giocato in buona parte sui silenzi e sui suoni ambientali, la musica è confinata ad alcuni momenti: sentiamo note di suspense durante il rapimento dell’uomo, e più malinconiche nel finale aperto.