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Liberté

2019
Titolo Originale:
Liberté
REGIA:
Albert Serra
CAST:
Helmut Berger (Duca di Walchen)
Safira Robens (Mademoiselle de Rubens)

Il nostro giudizio

Liberté è un film del 2019, diretto da Albert Serra.

Il catalano Albert Serra ha firmato con Liberté il suo ritorno a Cannes (Un Certain Regard) dopo aver presentato Honor de Cavalleria e Il Canto degli uccelli alla Quinzaine des réalisateurs (2006 e 2008), e The Death of Louis XIV in Special Session (nel 2016). Con Liberté, apparso per la prima volta nella forma di un’opera teatrale al Volksbühne Theatre di Berlino lo scorso anno, poi come installazione a due schermi al Museo Reina Sofia di Madrid lo scorso febbraio, uno dei possibili eredi di Salvador Dalí svela una nuova opera di nero splendore. Una foresta umida, gocciolante, popolata sia di alberi con radici aeree e rami simili a rampicanti come liane, sia di portantine, sia di marchese in parrucca che parlano lingue diverse, di duchi e duchesse che illuminano la notte con i loro torsi nudi, i volti incipriati, i loro culi bianchi. Un biancore lunare, come il latte versato sul corpo della suora Mademoiselle de Jensling, appeso nudo ad un albero. In uno spazio dove nessuno è costretto, ma vi si trova per libera scelta, trovano piacere secondo le proprie regole e si offrono agli spettatori come se nulla li determinasse. La naturalezza con cui si masturbano, come un gesto divenuto banale e quotidiano, è sorprendente e ci ricorda la bellezza degli istinti primitivi. Così ha detto Albert Serra: “In questa foresta non c’è né bello, né brutto, né vanità.

Queste cose così importanti nella vita (afferma con ironia) si cancellano tra gli alberi”. Come spesso nei suoi film, in Liberté ci troviamo tanto in un racconto storico quanto in un prossimo futuro, in compagnia degli ultimi sopravvissuti dell’umanità. Una portantina legata da una spessa corda assume l’aspetto di una scatola magica di Harry Houdini – o di un oggetto sadomasochista?  – e grazie al montaggio ci muoviamo con sorprendente agilità da un corpo all’altro, come la faccia che improvvisamente si stacca dal nero e si rivolge ad altri gruppi: non c’è un personaggio più importante, e tutti sono collegati a formare una nuova costellazione. La mascella del Duca di Tesis (interpretato dal brillante Marc Susini, che ha interpretato Blouin, il servo del Re in The Death of Louis XIV ), come una trappola per lupi, è febbrile e pericolosamente vicina al seno di un’altra suora, Mdemoiselle Goldobel, ma non si chiude, non morde. Più avanti, vedremo brandelli di coscia, un braccio amputato marchiato con ferro rovente, un culo frustato. Oltre l’apparente crudeltà, nel film c’è un’incredibile delicatezza, un paradossale pericolo benevolo, una sorta di tensione permanente tra erotismo e cannibalismo.

Questo rapporto sul pulpito è tanto più palpabile perché un allucinante gioco di scala con gli elementi del film li avvicina allo spettatore, come quel sesso femminile che occupa l’intero schermo nell’immagine di una nuova origine del mondo unicamente centrata sul piacere. Ci piacerebbe vedere di nuovo, toccare senza, tuttavia, osare. Con questa presenza al tempo stesso malvagia e tenera, Albert Serra mette in scena il desiderio. E grazie ad una padronanza sorprendentemente fisica della durata, ci si trova di fronte alla pellicola come dinnanzi all’incandescenza delle prime emozioni, senza che nulla venga mai realmente consumato. In questo senso, con i mezzi puri del cinema, Albert Serra riesce a inventare una nuova generazione di terza dimensione. Come spesso nel suo cinema, vi entriamo e vi usciamo dove vogliamo – l’espressione assume un significato speciale qui, dove i buchi non mancano – e il film ciascuno lo vivrà come vorrà. Ma allora quello che potrebbe collegare tutte le visioni che offre Liberté è il modo che il film ha di tornare a ossessionarci.