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C’era una volta a… Hollywood

2019
Titolo Originale:
Once Upon a Time in... Hollywood
REGIA:
Quentin Tarantino
CAST:
Leonardo DiCaprio (Rick Dalton)
Brad Pitt (Cliff Booth)
Margot Robbie (Sharon Tate)

Il nostro giudizio

C’era una volta a… Hollywood  è un film del 2019, diretto da Quentin Tarantino.

E anche Tarantino non ha resistito al bisogno di un suo “c’era una volta…” di leoniana memoria. E l’ha fatto scegliendo di confrontarsi con quel cinema americano e quel mondo dorato del quale è diventato fin da subito l’ultima grande icona: Hollywood. C’era una volta a… Hollywood,  presentato in anteprima in concorso alla 72ª edizione del Festival di Cannes, è il film nel quale Tarantino più che altrove ha voluto racchiudere tutto il suo mondo, la sua essenza geek, i suoi studi, la sua passione per il Bis dimostrando, infine, che certi gulty pleasures non dovrebbero mai essere spiegati o raccontanti. Il rischio è quello di rivelare il nulla sul quale certe passioni si basano. L’amore per il Bis è un fatto di pancia e non di testa, di conseguenza il tentativo di intellettualizzare le passioni le rende effimere. La storia è quella di un attore mediamente famoso nei western televisivi, Dick Dalton (Leonardo Di Caprio), e del suo stuntman Cliff Booth (Brad Pitt). Siamo alla fine degli anni ‘60. Dalton vive in una lussuosa villa con piscina accanto a quella di Sharon Tate e Roman Polanski, mentre Booth abita dietro a un Drive In con il suo cane. Per qualche ragione, Booth e Dalton sono amici per la vita (forse tra i due c’è una relazione omosessuale latente che nel film non viene mai esplicitata) e lo stuntman si presta a qualsiasi cosa per l’altro: gli ricorda gli appuntamenti, lo scorrazza in giro per Hollywood, gli ripara l’antenna di casa… In cambio, Dalton lo fa lavorare sui suoi set, anche se nell’ambiente è “persona non gradita” perché si dice abbia ucciso la moglie…

Tra i due, però, è Dalton quello depresso. Sente che la sua carriera non riesce a decollare e l’unica cosa che il suo agente (Al Pacino) gli propone è di trasferirsi in Italia a girare qualche spaghetti western con Sergio Corbucci (il secondo regista più quotato nel genere dopo Leone). Booth, invece, sembra prendere la vita con filosofia, ha i suoi sani principi, non si scopa le minorenni (capito, Roman?), si tiene in allenamento e quando si trova per caso nel ranch della Manson Family sa imporsi a suon di cazzotti. Sullo sfondo la drammatica vicenda di Sharon Tate e tutto quello che già sappiamo, ma che Tarantino rilegge (come fatto altrove) a modo suo. Lei (Margot Robbie) sembra un’oca giuliva e Polanski (Rafal Zawierucha) il Mike Myers di Austin Powers. Sono solo caricature, come caricature sono anche altri “miti” presenti nel film, da Bruce Lee (Mike Moh) a Steve McQueen (Damian Lewis). Scelta alquanto bizzarra quella di celebrare le proprie icone riducendole alla stregua di personaggi del Bagaglino peggio del Berlusconi di Sorrentino. Al di là di questo, però, quello che proprio non funziona in C’era una volta a… Hollywood  è l’amalgama delle pulsioni di Tarantino e della sua cinematografia a 360 gradi, costretta al servizio di una storia che, al contrario delle ambizioni, non risulta per niente epocale.

Il dramma esistenziale di questo attore, Dalton, insoddisfatto della carriera e costretto a trasferirsi in Italia per girare film con Corbucci (Nebraska Jim) o Antonio Margheriti (Operazione Dyn-O-Mite), al di là dell’ammiccamento cinefilo fine a sé stesso, alla fine non sembra davvero approdare a nulla di concreto. Appunto, il vuoto dietro la passione che rallenta un ritmo già di per sé compresso dall’eccessiva durata. Peggio ancora la parte del set americano (che strizza l’occhio, chissà perché, al Johnny Oro sempre di Corbucci) e che pecca assolutamente di credibilità. Alla fine si ha l’impressione di vedere un calderone di schizofreniche intuizioni cinefile che faticano a costruire una narrazione sensata. Il climax lo si raggiunge con la Manson Family pronta a fare strage nella villa che doveva essere abitata da Terry Melcher e qui, tra citazioni da Profondo Rosso (teste sbattute contro gli angoli sporgenti della casa) e lanciafiamme improbabili, si evoca per la prima volta quell’atmosfera pulp che tutti i fan di Tarantino si aspettano. Peccato, però, che il tutto abbia il sapore di un grande scherzo (costato oltre 100 milioni di dollari) all’interno del quale si perde il senso della fine di un’epoca che un “c’era una volta… da qualsiasi parte” dovrebbe avere.