8 horror nordeuropei da (ri)scoprire

Per una serata che vi farà gelare il sangue
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Con l’uscita di Lamb, il cinema fantastico scandinavo sosterrà ancora una volta il suo personale esame della maturità artistica. Quella commerciale, inutile dirlo, è acquisita da un pezzo – almeno da quando, ormai dieci anni fa, il subcontinente tra i meno “cinematografici” del mondo si seppe reinventare primo polo dell’audiovisivo europeo. In queste settimane, un minuscolo horror islandese (definizione che sarebbe parsa bizzarro ossimoro fino a poco tempo fa) sarà benedetto da hype e distribuzione da piccolo blockbuster: in ottica industriale, è già un trionfo. Eppure, quello del Nord Europa è un cinema che sì vende, ma piace a pochi. Negli anni, il tormentone della “serie tv scandinava” ha fatto del suo per imporre un immaginario tanto trasversale quanto inesorabilmente legato a un’opprimente piattezza di look e contenuti. Assunti per smentire i quali non si è mai fatto molto: se i format televisivi di largo consumo vanno via come il pane (il giallo in primis, ma anche un marchio sorprendente come Skam ha le sue origini negli stessi uffici), è proprio nel momento di confrontarsi con un cinema di colore e di calore, che le endemiche carenze si palesano. Più di ogni altra, è la produzione horror ad essere ancora genericamente guardata con sospetto, portatrice di un’atavica aura di sfiga che il film di Valdimar Jóhannsson proverà ancora una volta a debellare. E dire che, storicamente, le basi per un dignitoso immaginario fantasy nordico non mancherebbero. Nei primi anni del cinema, le influenze espressioniste dei “vicini” tedeschi, incrociate al particolarissimo folklore locale, produssero più di un titolo mitologico: dal Carretto Fantasma tanto caro a Kubrick ad Haxan, per non parlare dei grandiosi gotici dreyeriani (Wampyr, Dies Irae). Cinema “di genere”, si, ma pur sempre autoriale: roba per cinephiles e studiosi del mezzo, teorici dei media e restauratori di pellicole. Un primo, timido approccio industriale al proprio mercato è arrivato tardivamente, a metà anni ’70: la sua insospettabile linea guida sta forse nella svolta truce di Ingmar Bergman (La Fontana della vergine prima, L’Ora del lupo poi), fondamentale nell’introdurre la violenza all’interno della più borghese delle cinematografie mondiali. Ma roba pur importante come Thriller (1974) rimase isolato exploit, senza una prospettiva “di sistema” a sorreggerla.

Negli anni seguenti, la neonata fabbrica del direct-to video avrebbe dato il via ai primi esperimenti “di genere”, mentre l’autore-popstar Lars Von Trier si autoproclamava erede bergmaniano evocando l’anima inquieta del Nord prosperoso e sanificato per il selezionatissimo pubblico di Cannes. Le basi del successo commerciale di oggi vengono però poste solamente a metà anni 2000, grazie alla speculazione operata su due titoli in particolare: i Millennium di Stieg Larsson, al cui adattamento di Uomini che odiano le donne si deve la riscoperta commerciabilità del “marchio” svedese; e il capolavoro di Tomas Alfredsonn Lasciami entrare, responsabile dell’altrettanto fondamentale legittimazione critica. I due titoli della stagione 2008-2009 mostrarono l’esistenza di un approccio al genere pronto a superare a destra le ormai geriatriche provocazioni di Antichrist, proponendo un cinema tanto forte quanto vendibile, cool e persino giovanile. Niente di altrettanto dirompente è venuto fuori da allora: in compenso, l’industria ha saputo capitalizzare sul successo dei due titoli con cinismo da invidiare. Il decennio successivo è una scalata al vertice della filiera continentale: a partire da Game of Thrones, Hollywood ha benedetto l’Islanda come nuovo set dei suoi mondi fantasy/sci-fi, portando il pubblico mondiale a familiarizzare con un panorama naturale precedentemente alieno; la Danimarca ha trovato subito una collocazione nella neonata “prestige tv” (The Bridge, The Killing), mentre l’on demand è diventato casa del neonato exploitation low-budget svedese. Le bandiere lavorano in singergia creativa:  a Reykjavik la terra di nessuno dei grandi set americani, a Helsinki il centro logistico delle co-produzioni; in Finlandia e Norvegia boschi rurali per l’azione e l’horror, a Copenaghen il polo urbano ed europeo. Un microcosmo cinematografico autosufficiente, che produce per un fortissimo mercato interno con in testa l’esportazione: un po’ quello che fu il modello italiano, mezzo secolo fa, e che sembra avere oggi svedesi e compagni come unici eredi. Rispetto a quanto emerso da Cinecittà nei suoi due decenni di gloria, il flusso inesauribile di contenuti imposto dall’era digitale ha consegnato al meritato oblio buona parte della nuova proposta. Al di fuori delle classiche zone di comfort (drammi, polizieschi), i sussulti vitali e memorabili si riducono ad un pugno di titoli: proviamo allora a fare un punto, scoprendo cosa andare a salvare da questo vertiginoso decennio.

Sauna (2008)

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Facile ricordare Valhalla Rising, ma il brutal fantasy norreno che fece la fortuna critica e commerciale di Nicolas Winding Refn ha almeno un dimenticato precedente: ad anticipare l’estetica del cult 2009 fu infatti questo coraggioso e, ai tempi, raro investimento finlandese, emerso quasi a sorpresa nel periodo dell’improvvisa impennata produttiva. Rispetto ai toni colti e surrealisti che avrebbero caratterizzato la visione del regista danese, Sauna sembra già lanciarsi in quell’ottica rozza e crowd pleaser che, in seguito, sarebbe divenuta cifra e stampino per l’intera cinematografia locale: budget modesto, ricostruzione lurida e di forte impatto, utilizzo sapiente ma mai ermetico del proprio specifico retroterra storico. Un film capace di affacciarsi fuori dai propri confini di soppiatto, grazie alla forza della novità rappresentata: recupero meritevole.

The Reykjavik Whale Watching Massacre (2009)

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In termini di visibilità, l’offerta islandese è per forza di cose la più modesta tra quelle dei grandi cugini scandinavi (Isole Faroe escluse, evidentemente). Se già i progetti pensati per l’esportazione sono pochi, i flirt degli isolani con l’horror restano ancora meno. Oggi, Lamb promette di rilanciare le ambizioni nazionali portando dignità artistica ad un paese finora relegato a fare da sfondo; ma prima del successo con Naomi Rapace, fu questo The Reijkavik Whale Watching Massacre l’azzardo più lodevole. Lo strano filmetto del 2009 è fin dal titolo segnato da quella indecifrabilità propria di molte produzioni giovanili: non sono davvero chiari il genere né gli intenti, e che l’aria amatoriale sia ironicamente voluta è tutto da dimostrare. Di certo, l’etichetta di slasher islandese bastò a farne un piccolo caso in patria, permettendogli di circolare online come curiosità esotica – anticipando di un paio d’anni lo sbarco degli americani su quelle stesse spiagge.

Dead Snow (2009)

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Il primo grande contributo norvegese ai botteghini non poteva che flirtare con spaletter, nazismo e accumulo di cattivo gusto: cos’altro aspettarsi, dalla patria del black metal e suggestioni ariano-razziali affiliate, se  non l’astuta commercializzazione della propria torbida fama? La grande intuizione alla base di Dead Snow sta nell’agganciarsi all’allora appena rinato filone del nazi-zombie, tornato prepotentemente in scena grazie a certe uscite videoludiche e ai tempi ancora fuori dai radar del cinema; con diversi anni di anticipo rispetto ad Hollywood, ecco dunque la violenza cannibale mischiata alla Storia e al war movie, ovviamente nel tono post-ironico internettiano obbligatorio in questo genere di imprese. Decisivo esempio di lungimiranza: un film non certo eccezionale, ma in grado di battere gli americani sul loro stesso campo, aprendo in anticipo una piccola saga ancor oggi tra i picchi commerciali dell’intera filmografia.

Hidden (2009)

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Se l’horror sembra declinarsi solamente mediato da ironia e consapevolezza meta, è il thriller psicologico a porsi da decenni come la vera colonna portante del Genere nella penisola scandinava. Rispetto ad altri filoni d’importazione, questo tipo di film resta la specialità della casa, con una tradizione radicata e maestri importanti a patrocinare simbolicamente le nuove proposte. Che gli oscuri psicodrammi dei prefabbricati innevati vadano a contaminarsi con la ghost story, è naturale conseguenza e punto di arrivo obbligato di tale percorso. Nonostante ciò, il sangue resta poco, e la temuta “aria televisiva” dilaga: difficile spiccare, e ad andare oltre l’home video e la micro-distribuzione più alimentare sono in pochi. Ci andò vicino Skjult (Pål Øie, 2010), che girò il mondo con il titolo Hidden, ponendosi come aggiornamento al modello in salsa norvegese: foreste, buio e rimossi assassini.

Trollhunter (2010)

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Altro figlio dei tempi, Trollhunter ribadì la rinnovata centralità dell’iconografia nordueropea nell’immaginario cinematografico. Il film di André Øvredal è infatti un found footage, come pressoché obbligatorio ai tempi: un high concept già tutto nel suo titolo, che non promette spettacolo quanto l’immersione voyeuristica alla base di quel preciso filone. Agli zombi-infetti spagnoli di Balaguerò o ai fantasmi di Paranormal Activity, Trollhunter antepose una sorta di ironico Cloverfield a chilometro zero: l’idea viene dalla narrativa popolare, la chiave realizzativa sta nell’astutamente limitato utilizzo del digitale. Operazione potenzialmente irrealizzabile per una piccola industria, messa invece assieme con giusta cura e un decisivo apporto USA in produzione. Il tipo di progetto che in Italia non si è ancora neanche provato a pensare.

Trasporto eccezionale (2010)

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Se un’intuizione come quella del nazista zombie resta un dato del cinema e della narrativa exploitation mondiale  almeno dagli anni ’70, il Babbo Natale horror è una vera particolarità locale. Le radici stanno ovviamente nel Krampus, creatura della mitologia baltica di indubbio fascino iconografico, già protagonista di una discreta filmografia; ma le variazioni sul tema hanno negli anni dato vita a dissertazioni sulla natura di Santa Klaus ancor più deliranti. Nel 2010, Jalmari Helander diede alla questione uno dei contibuti più importanti: il suo Rare Exports è una satira di grandi idee e grande consapevolezza filmica, con un tono virato quasi all’action che gli valse le attenzioni americane e un ticket andata-ritorno per Hollywood. L’immeritato flop del successivo Big Game (con Samuel L. Jackson in trasferta), altrettanto divertente, ne avrebbe anzitempo chiuso il percorso.

Thale (2012)

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Non solo babbi natale armati: il folklore norreno resta un pozzo senza fondo di traiettorie narrative, benedetto tanto da una certa vicinanza al sentire anglosassone (la cui familiarità anche ideologica rappresenta il viatico per l’esportazione), quanto scevro dalle ingestibili implicazioni religiose proprie del cattolicesimo. Il sempre affascinante paganesimo vichingo non ha un clero cui rendere conto, e il suo immaginario ha solo da regalare: da lì vengono fuori le huldra di Thale, low-budget di qualche anno fa votato alla valorizzazione cinematografica delle popolari entità silvane in chiave sottilmente body horror. Il film di Aleksander L. Nordaas è buon esperimento di monster movie senza soldi e senza monster, che prova ad ideare da zero una sua personale creatura, tirando fuori cinema dalla più basilare e studentesca delle intuizioni.

Lake Bodom (2016)

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Il serial killer immerso nella neve perenne resta il vero marchio di fabbrica del noir ad alta latitudine, e come ogni grande tradizione poliziesca anche quella scandinava non poteva non cimentarsi con il proprio Zodiac. Un sottogenere non privo di insidie: lo sa bene l’ex wonderboy Tomas Alfredsonn, che dopo il trionfo dei primi due film si andò a schiantare su The Snowman sparendo anzitempo (e immeritatamente) dai radar. Meno ambizioso e sicuramente più riuscito, fu a sorpresa il quasi contemporaneo Lake Bodom a prendersi nel 2016 la corona di thriller della stagione. Rispetto agli ideali epigoni (da Fincher a Bong), il trucido e ben poco autoriale film di Taneli Mustonen mette da parte gli agganci al complesso Novecento in cui affonda la sua storia (tre adolescenti uccisi nell’estate 1960 – nessun colpevole), dando al massacro del Lago Bodom il trattamento-slasher che (non?) meritava. Uno degli ultimi film-evento nazionali: tra i migliori.