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Maniac

1934
Titolo Originale:
Maniac
REGIA:
Dwain Esper
CAST:
William Woods
Horace Carpenter
Ted Edwards

Il nostro giudizio

Maniac è un film del 1934 diretto da Dwain Esper 

Ci sono persone fatte l’una per l’altra, persone la cui unione di spiriti e d’intenti alla fine non può che raggiungere un mistico momento di sintesi professionale, determinandone carriere, vita e fama. È il caso del duo Dwain Esper/Hildegarde Stadie, coppia sconosciuta ai più ma che, se si dovesse scrivere un’ipotetica e nondimeno necessaria contro-storia del cinema, meriterebbe un capitolo a sé. Chi erano costoro? Esper si guadagnava il pane producendo e proiettando film in circuiti alternativi, che oggi chiameremmo underground. Se questo strano figuro, folgorato da Freaks con decenni d’anticipo rispetto a Diane Arbus, aveva tutte le carte in regola per ammodernare la cinematografia nei bastonati tempi di Will Hays, anche la consorte non era da meno. Si narra infatti che ella fosse una venditrice ambulante del vecchio west e che, reclutata dallo zio in tenera età, intrattenesse il pubblico di qualche ghost town esibendosi tutta nuda e coperta di serpenti. Amante dei casi sociali più controversi, degli scandali a buon mercato e delle più bieche tentazioni, Esper commissionò alla moglie le sceneggiature di film sempre più strambi e trasgressivi, infarcendoli con tutto ciò che non era permesso, dai numerosi nudi femminili fino all’uso esplicito di droghe. Il padre putativo di Maniac dovrebbe essere, tra l’altro, Il gatto nero di Poe, anche se dello scrittore di Boston c’è ben poco, giusto un gatto a cui viene cavato un occhio senza troppi cerimoniali. La scena è abbastanza forte, pur virando al grottesco quando il dottore si mangia il bulbo espiantato come fosse un acino d’uva. Il felino però non soffre perché, nel fuggire all’ira funesta del carnefice, si schianta contro una vetrata e se ne vola al creatore. Con buona pace degli animalisti.

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Ci sarebbe anche il discorso del gatto nero (un altro, s’intende) murato insieme al cadavere, ma a parte questo contorno letterario, Maniac è più orientato allo zombesco, con il vecchio Meirschultz che s’intrufola nottetempo negli obitori e inietta nei cadaveri un siero che li riporta in vita. O che li riporterebbe, perché la terapia, applicata al corpo fresco di suicidio di una graziosa figliola, trasforma la morta in una revenant in stato comatoso e, per giunta, totalmente rimbecillita. Il momento cult lo si ha quando il fantomatico Meirschultz, alias Maxwell in crisi di identità, nel tentativo di curare un paziente affetto da chissà che cosa, lo manda in overdose con qualche misterioso liquido. Il povero Buckley, questo il nome del malcapitato, così flippato di adrenalina, si contorce e sbava come un indemoniato, vestendo prima i panni di un apparente mister Hyde e finendo poi per scimmiottare mezzo spastico per la stanza. Ridotto a babbuino umano (riferimento alla Rue Morgue, a quanto si dice), saltabecca alla ricerca di una degna compagna con cui festeggiare gli imenei dell’amore. La prescelta è la sonnambulica zombina di cui sopra che, appunto perché lobotomizzata, manco si accorge del perfido ratto.

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Il bruto dalle fattezze bestiali scappa per i boschi, deponendo la bella addormentata in una romantica alcova tra gli alberi e strappandole la veste in un delirio di turpe sensualità. Le zinne al vento (controfigurate, per dovere di cronaca) sono soltanto il primo dei vari nudi che accompagna lo spettatore, il quale, fra muliebri spogliatoi e spogliarelli, giungerà a gustarsi un bel corpo a corpo tra la moglie di Buckley e quella di Maxwell. Le improbabili contendenti, messe l’una contro l’altra dalla subdola dialettica dell’assassino, se le daranno di santa ragione fino a mandarsi reciprocamente knock-out a colpi di siringa. Maniac è una pellicola gustosa ed esilarante. Lo è perché tenta di mescolare i riferimenti più alti della narrativa gotica (il tema del doppio con il relativo furto di identità) con elementi di più volgare matrice. E lo è perché, non prendendosi mai troppo sul serio, costituisce una sorta di unicum nel contesto horror di quegli anni. Un film sperimentale, stravagante, un cortocircuito di senso e di sensualità che non manca però di colpire e deliziare lo spettatore, allora come oggi. Visibile su YouTube.