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Distorted

2018
Titolo Originale:
Distorted
REGIA:
Rob King
CAST:
Christina Ricci (Lauren Curran)
Brendan Fletcher (Russell Curran)
John Cusack (Vernon Sarsfield)

Il nostro giudizio

Distorted è un film del 2018, diretto da Rob King.

Contro il pressante logorio della vita moderna, oltre all’immancabile sorso di Cynar, quale miglior antidoto se non quello di abbandonarsi ai caldi e sfiziosi comfort assortiti di un imponente condominio super tecnologico, capace di mandare in pensione ogni nostra più opprimente preoccupazione? Pazienza se poi l’accogliente magione si mostra capace di mandarci in pappa il cervello; tanto ormai di materia grigia ne usiamo ben poca, no? Deciso più che mai a farsi perdonare quell’imbarazzante scivolone di sci-fi post-apocalittico che fu 2030 – Fuga per il futuro, il buon Rob King si è convinto, stavolta, a mettere la testa e la macchina da presa al posto giusto, confezionando, con Distorted, un onesto e coinvolgente esempio di cyber thriller decisamente paranoico e per nulla rassicurante sul fronte della coesistenza tra tecnologie 3.0 e nuovi spazi abitativi, laddove la sempreverde ossessione per gli oscuri complotti consumistici dal sapore subliminale si mostra nuovamente capace di farci passare qualche sana nottata d’insonnia, magari con la webcam opportunamente oscurata e con il Wi-Fi indiscutibilmente disattivato. Non si sa mai di questi tempi, giusto? Vatti a fidare di Siri…

Cavalcando il recente reflusso dello psycho-paranoyd movie – riportato proverbialmente in auge dal quel vecchio marpione di Steven Soderbergh con lo sperimentale Unsane -, Distorted vede la giovane e disturbatissima Lauren (una Christina Ricci dalla cotenna decisamente fuori fase) decisa più che mai ad affrontare lo scottante trauma della disgraziata perdita di un figlioletto con la decisione di trasferirsi, assieme al marito Russell (Brendan Fletcher), in un lussuoso complesso residenziale denominato “The Pinnacle”, fornito delle più avanzate innovazioni tecnologiche e (apparentemente) perfetto per iniziare una nuova esistenza in pace e serenità. Ben presto, tuttavia, la donna inizia ad accorgersi che qualcosa decisamente non va nello stabile e nei condomini che vi risiedono, soprattutto quando strani segnali video-acustici iniziano a fuoriuscire da ogni dispositivo senza alcuna spiegazione, condizionando non poco il suo già precario stato mentale. Combattendo un’estenuante guerra tra allucinazione e realtà, Lauren inizia pian piano a scorgere una possibile sconcertante verità dopo essere entrata in contatto col misterioso giornalista/hacker Vernon (un John Cusack decisamente alla frutta, anche se non ai livelli dei colleghi Bruce Willis e Nicholas Cage), il quale inizia a insinuare il dubbio che un occulto esperimento subliminale venga condotto proprio all’interno del mastodontico grattacielo delle meraviglie. Il film è profondamente intriso delle perturbanti allucinazioni condominiali polanskiane – con un occhio di riguardo al seminale Rosemary’s Baby e all’esoterico L’inquilino del terzo piano – e fortemente debitore all’immaginario distopico-subliminale del Essi vivono carpenteriano.

Distorted porta con sé, fiero e consapevole, la sana intelligenza hitchcockiana di suggerire molto e mostrare poco, scegliendo di accompagnare il corpo e la psiche della fragile ma incallita protagonista che, come la Susy Benner/Jessica Harper di Suspiria, si aggira, incauta e impaurita, tra le sinuose planimetrie di un oscuro setting che ricorda straordinariamente le architetture rococò-surrealiste della Tanzakademie argentiana, con l’unica differenza che qui di streghe non se ne sente parlare, anche se un opprimente tanfo malefico permea ogni anfratto e ogni singola inquadratura. Puntando tutto su di un ritmo serratissimo e sull’implacabile indeterminatezza tra realtà e follia – tema tanto caro al buon cinema di suspense che si rispetti –, King confeziona un autentico saggio di tensione spasmodica e di complottismo spinto che tanto farebbe la felicità della cricca di Adam Kadmon, epurando opportunamente il tutto da ogni possibile critica socio-politica e apparecchiando un giocattolino ben congeniato, dove l’inquietudine e il perturbante ragnano sovrani peggio che in una ghost story iberica. E’ davvero uno spasso, in effetti, vedere King fare il verso a De Palma (che a sua volta strizza l’occhio a nonno Hitch), il tutto mentre il techno-feticismo 3.0 si amalgama alla perfezione con la scottantissima teoria dei messaggi subliminali che rendono Distorted degno di sedere al centro fra Twilight Zone e Black Mirror. Tutto ciò non fa altro che dimostrare come, seguendo l’insegnamento che già ci fu a suo tempo impartito dal buon William Friedkin con Bug, la paranoia sia davvero contagiosa, peggio del morbillo.