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Deep Impact

1998
Titolo Originale:
Deep Impact
REGIA:
Mimi Lader
CAST:
Robert Duvall
(Spurgeon "Fish" Tanner)
Téa Leoni

Il nostro giudizio

Deep Impact è un film del 1998, diretto da Mimi Lader

Quando la Dreamwork annunciò nel 1998 di voler dare nuova vita al filone dei disaster movie con Deep Impatc, ecco che subito la Buena Vista e Jerry Bruckheimer si sono subito buttati in scia producendo Armageddon. Due film nella stessa stagione su un meteorite che piomba sulla Terra provocando l’estinzione della nostra specie, è per lo meno sospetto. Ma si sa, Bruckheimer non è persona dal palato fine e quando sente odore di soldi non guarda in faccia nessuno. Steven Spielberg, che ha più sensibilità, invece va dritto per la sua strada. Il risultato: due produzioni diametralmente opposte e due modi di intendere il disaster movie alle soglie del nuovo millennio. Per Bruckheimer e Michael Bay, regista di Armageddon, il tema della catastrofe mondiale diventava pretesto per una banale e fastidiosamente ironica storia d’azione, mentre per Spielberg e Mimi Lader, regista di Deep Impact, il solco dal seguire è quello della vecchia scuola dei film catastrofici, con il suo bagaglio di attese ed emozioni. Questo fa di Deep Impact un film migliore di Armaggeddon? Probabilmente sì o almeno sicuramente sì dal punto di vista del nostro discorso. In Deep Impact si respira tutta l’enfasi del disaster movie.

Inizia come un intrigo internazionale con Téa Leoni giornalista convinta di aver scoperto un gossip governativo di quelli che piacciono tanto agli americani, che si trova invece a fronteggiare la fine del mondo, e continua con una moltitudine di storie che si intrecciano aspettando l’inevitabile. C’è il ragazzino (quell’hobbit di Elijah Wood) innamorato della compagna di scuola (la gustosa Leelee Sobieski), il presidente nero Morgan Freeman che regge sul groppo il peso di una crisi internazionale capace di far dimenticare in un colpo solo lo scandalo Watergate e l’assassinio dei fratelli Kennedy , la stessa Leoni alle prese con un padre che non ha mai capito e una madre (l’immensa Vanessa Redgrave) irrimediabilmente sull’orlo del collasso, e l’equipaggio della navicella spaziale Messiah pronto all’estremo sacrificio perché, come recita la tagline, “quando gli oceani si alzano e le città scompaiano, la speranza possa sopravvivere”. La forza di Deep Impact, come qualsiasi altro disaster movie che si rispetti sta nell’attesa. È l’attesa che fa la differenza non gli effetti speciali.

Uno dei momenti di maggior pathos di Deep Impact lo si raggiunge quando Morgan Freeman, presidente ormai disfatto nel fisico e nella voce, annuncia la totale debacle dell’azione missilistica contro il sassone spaziale. Un senso di angoscia e di predestinata catastrofe si abbatte sugli animi dei personaggi e degli spettatori. Ed è qui che il film guadagna punti, spostando l’ottica sugli uomini e non sugli effetti della catastrofe. Viene da chiedersi come ci si comporterebbe in quella stessa situazione e l’immedesimazione con i drammi personali delle pedine messe in campo in questa assurda corsa contro il tempo è garantita. Il momento del (profondo) impatto esplode così deflagrante prima nel cuore dello spettatore che sullo schermo. È un momento catartico che diviene liberatorio nel momento in cui lo tsunami si erge dalle profondità dell’Oceano per cancellare in pochi secondi la spiaggia di pescatori dove padre e figlia si sono ritrovati per la prima e ultima volta di fronte all’infinito e subito dopo gioca a domino con le Torri Gemelle di una New York pre-undici settembre.