Intervista a Riccardo Schicchi

Il pioniere delle luci rosse
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Roma, 1995. Le ricorrenti chiusure coatte dei suoi locali non l’hanno scoraggiato. Le sue divette hanno bisogno di una casa dove rifugiarsi, un posto sicuro dove concedersi ai desideri del pubblico. E allora eccoci al Blue Moon, una delle basi romane, a due passi da via Cavour, di Riccardo Schicchi. Il locale è anche un cinema a luci rosse, ma la sua peculiarità sono gli spettacoli dal vivo. Qui, dopo essersi scaldati con la pellicola, gli spettatori possono vedere e toccare con mano (nel più autentico senso della parola) le attrici che si materializzano sul palcoscenico. Il sultano se ne sta nel backstage, accasciato su una poltrona durante l’esibizione della moglie, l’ungherese Eva Henger. Attorno a lui un via vai di splendide magiare vestite solo di speranze scandisce il cambio fra un numero e l’altro. Lo spunto per cominciare la chiacchierata, come al solito, è l’inizio dell’avventura.

«Altro che avventura. È una storia romantica. Io, a quel tempo, siamo alla fine degli anni Settanta, facevo il fotografo. La scuderia non esisteva, c’era soltanto Cicciolina, con la quale avevamo creato un fenomeno di trasgressione fortissimo, E fu con lei che girai il mio primo film, Cicciolina amore mio. Era il 1979. Non si trattva, però, di un hard, perché da noi non lo si faceva ancora. Fu quando i distributori regionali diedero il via alle produzioni porno che cominciarono a corteggiarci»

E voi?

«Inizialmente volevamo dedicarci esclusivamente al video. A quel tempo i vedeoregistratori erano veramente pochi, ma capivamo che il fenomeno sarebbe esploso. Così realizzammo tre porno in cassetta: Cicciolina The Day After, Pornopoker e La conchiglia del desiderio. Vendemmo più cassette di Rambo».

E al cinema come ci arrivaste?

«Noi volevamo restare nel settore video e se lo avessimo fatto oggi saremmo i padroni del mercato. Purtroppo la tentazione fu forte e quando il povero Carletto Reali, in qualità di produttore, e Arduino Sacco in quella di regista, ci proposero di girare un film, accettammo. Nacque così Telefono rosso.Ma erano tempi davvero pionieristici. Io e Arduino giravamo ma a volte dentro la macchina non c’era neppure la pellicola, per mancanza di soldi. E poi era un mondo di persone poco attraenti, se proprio vogliamo essere morbidi».

In che senso?

«Nel senso che andai a vedere il film e mi accorsi che mancavano delle parti. I distributori si erano accaparrati pezzi di pellicola che in seguito avrebbero usato per confezionare altri film. Pura pirateria alla quale non potevi opporti perché eravamo comunque tutti fuorilegge».

Avevate delle location particolari?

«Ma no, io ero un coraggioso. Un giorno portai gli attori al Luna Park e li misi sul trenino. Avreste dovuto vederlo, all’uscita dalla Bocca del Drago, quel treno pieno di gente che scopava!»

Cosa è cambiato da allora ad oggi?

«Gli attori maschi soprattutto. Oggi è aumentata la loro importanza, portano a casa cifre ragguardevoli, una pregorativa che prima era esclusiva delle donne. A quel tempo, spesso, i film si faticava a farli per mancanza di… uccelli. In alcuni casi mi è capitato di intervenire  personalmente, se non proprio come attore, prestando una parte del mio corpo. Oggi invece si rizzano con la papaverina e con le pasticche. Perché nell’hard non ci sono attori, ci sono cazzi. E questo è un dramma, perché gli uccelli si svuotano quattro volte al giorno e svuotano anche il cervello. In questo mondo non si salva nessuno. È gente a cui voglio bene, intendiamoci, ma resta il fatto che sono degli oconi».

Schicchi che critica l’hard?

«Ma no. Il cinema si fa con gli attori, non con i cazzi. Quindi per me l’hard non è cinema. Mi fa ridere Mario Salieri quando in un suo film mette i carri armati di cartone, e penso che rida anche il pubblico. L’hard è rappresentazione dell’atto sessuale.Per me quello è e quello resta.Il compito di fare cinema lo lascio a Francis Ford Coppola».

Era meglio Cicciolina o Moana Pozzi?

«Erano due disastri. Ma all’epoca non era importante. La gente aveva voglia di pornografia e loro erano i personaggi più giusti per dargliela».

Lei ha scritto che la pornografia è morta. Certo che anche per lei senza Cicciolina e Moana devono essere tempi difficili…

«Ho scritto che è finita nel senso che tutto quello che doveva dire l’ha detto e non sono rimasti personaggi del calibro di Ilona e di Moana. Prima si sognavano donne che potessero avere rapporti infiniti, ma oggi la paura dell’Aids fa desiderare ragazze inviolate, magari manovrabili con un computer. Se prima l’orgia era un momento di liberazione, oggi è divenuta un momento di contagio. È così che è nato il personaggio di mia moglie Eva Henger, la sposa virtuale. Lei non farà mai un film hard perché il pubblico la vuole pura».

Questo lo Schicchi pensiero nell’estate del 1995. Ma anche la virtualità di Eva ha dovuto cedere al business e nel gennaio ’97 la Henger ha debutato nell’hard con La  conchiglia violata, dove interpreta se stessa e dà corpo alle fantasie del suo pubblico. «Eva sarà la regina: è bella, ha personalità e ha dietro tutta la mia esperienza», commenterà dopo un paio d’anni il pigmalione. «Ho inventato Cicciolina e Moana: ora è arrivato il suo turno».

 

Intervista a Riccardo Schicchi (1995) tratta da Moana e le altre di Andrea Di Quarto e Michele Giordano, Gremese, 1997