The Alienist

Fukunaga e la mente del Male

New York, 1896. Un bambino viene trovato morto e brutalmente mutilato dalla polizia. Ad indagare  sull’omicidio oltre al commissario Theodore Roosevelt (Brian Geraghty), ci sono l’alienista e Dott. Laszlo Kreizler (Daniel Brühl), l’illustratore John Moore (Luke Evans) e Sarah Howard (Dakota Fanning), segretaria di Roosevelt, i quali tentano di capire cosa può spingere un uomo ad atti tanto cruenti… A pochi mesi di distanza dall’uscita di Mindhunter e Alias Grace, la serialità televisiva ritorna su un tema decisamente affascinante e mai noioso: la mente criminale e la conseguente analisi sulle origini del male. Ancora una volta torniamo indietro nel tempo, precisamente in una New York di fine Ottocento, fumosa, sporca, violenta e corrotta, negli stessi anni della nascita della psicoanalisi di Freud. Dalla caccia all’assassino al topos del buddy cops, dopo aver visto il pilot di The Alienist è impossibile non pensare al lavoro fatto in True Detective da Cary Fukunaga (che aveva diretto e prodotto l’acclamata prima stagione); ma anche a Peaky Blinders e a Penny Dreadful per le atmosfere gotiche cupe e macabre. The Alienist si inserisce in un filone narrativo ben preciso, in bilico tra thriller psicologico e horror, e dal pilot si intravede già una strada ben delineata che presumibilmente verrà esplorata nei successivi episodi. In The Boy on the Bridge (questo il titolo dell’episodio) non stenta a emergere – come già visto di recente sia in Mindhunter che Alias Grace – una cultura patriarcale opprimente, misogina e qui, in particolar modo omofoba, che non ammette alcun tipo di diversità. Si profila insomma una cultura-mostro che si cela dietro atti efferati ai danni di bambini “colpevoli” di vestire abiti da donna o avere una natura differente da quella prestabilita e dunque socialmente accettata dalla società.

In tal senso, è particolarmente interessante la presenza di Sarah Howard, prima donna a lavorare in un dipartimento di polizia. Introdotta a metà episodio, in poche scene facciamo subito la conoscenza di una donna giovane e indipendente, obbligata in abiti troppo stretti per lei (letteralmente e non solo) e a muoversi in un mondo maschilista che non perde occasione per sminuirla e sbeffeggiarla. D’altro canto, non gode di maggiore considerazione il protagonista della serie, l’alienista Laszlo Kreizler (una sorta di psichiatra/psicologo), a causa di metodi troppo moderni per il suo tempo. Deciso a scoprire l’autore dei crimini a NY, Laszlo si dimostra disposto ad infrangere numerose regole, etiche, morali e legali, pur di avvicinarsi alla verità. Il monologo finale, su cui si chiude l’episodio, diventa la premessa sulla quale sicuramente poggerà l’intera stagione. Si tratta di una dichiarazione d’intenti che lascia pochi dubbi sul percorso che l’uomo intraprenderà nel tentativo di addentrarsi nel labirinto delle menti più disturbate.

Ben diverso si prefigura, invece, il destino del sodale John Moore, il quale, nonostante il ruolo di “spalla” del protagonista, si dimostra uno dei personaggi più interessanti e promettenti, con il suo sottile sense of humour e una spiccata umanità. Il merito, però, è anche della performance molto buona di Luke Evans che rischia di offuscare un inespressivo e finora troppo serio Daniel Brühl. Potrebbe essere proprio quest’ultimo la nota dolente di The Alienist. Detto ciò, la nuova serie di TNT, tratta dal bestseller di Caleb Carr si dimostra intrigante e ottimamente diretta – con interessanti virtuosismi dal richiamo hitchcockiano. Considerato il livello altissimo della serialità contemporanea, studiata più sulla lunga durata e meno sul singolo episodio, il pilot di The Alienist ha tutte le carte in regola per incuriosire e intrattenere. Se riuscirà a dare anche una valido nuovo contributo ad una riflessione più ampia e a lasciare il segno di questa peak tv è ancora presto per dirlo. Ma il già citato monologo finale, inserito in un efficace montaggio alternato, lascia davvero ben sperare.