Tenebre di Dario Argento

Tutto quello che avreste voluto sapere su Tenebre
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Nella seconda metà del 1980, Dario Argento vola a Los Angeles con un “racconto nella valigia”. Lo scopo del viaggio è quello di incontrare il produttore Dino De Laurentiis, che da anni insiste per lavorare con il regista, e la storia che Argento si porta con sé è un giallo – non, quindi, un film fantastico che andasse in scia agli ultimi fatti, nonostante la sceneggiatura del capitolo conclusivo della trilogia delle Madri sia stata già scritta, “appena ultimato Inferno”. A Los Angeles, Dario si trattiene alcune settimane, spese tra i colloqui con De Laurentiis e i suoi avvocati, la messa a punto della sceneggiatura, che ad Argento piace moltissimo e pare ormai sul punto di trasformarsi in un film, e l’atmosfera “rilassata” della città: «Los Angeles gode tutto l’anno di un sole magnifico e di un clima dolce e mite. La gente ride fortissimo e si diverte anche parecchio. In queste condizioni il lavoro è molto più tranquillo. Tutti se la prendono comoda e sembra che il principale interesse dei professionisti di Hollywood sia non il lavoro, ma le gite, le feste, gli amori. Così, tra una cosa e l’altra, si perde un sacco di tempo per fare cose che potrebbero concludersi in pochi giorni…». Il clima idillico continua fino al momento in cui Argento comincia a essere fatto bersaglio di strane telefonate, nell’albergo in cui alloggia, da parte di uno sconosciuto….

«Era un uomo, un americano, che conosceva alla perfezione me e il mio cinema. All’inizio pensai che fosse un ammiratore, magari un po’ sciroccato. Continuava a parlarmi di Suspiria, mi citava in continuazione dei momenti di quel film. In breve, le telefonate divennero più frequenti e sempre più minacciose. Io, da una parte ero spaventato, ma dall’altra cercavo di capire cosa si nascondesse nella mente di questo individuo. Cominciai a registrare i suoi discorsi, a studiarlo: quante volte ripeteva una certa parola, l’inflessione, i tic verbali. Un giorno mi disse che per tutti arriva un momento top nella vita e che per lui sarebbe stato quello in cui fosse riuscito a uccidermi. Da quel momento ebbi veramente paura…». Argento decide così di spostarsi verso Santa Monica, ma anche qui non si sente sicuro e vola infine a New York. Il soggetto originario che avrebbe dovuto girare per De Laurentiis e la MGM viene abbandonato e si trasforma nell’incunabolo di Tenebre (con il titolo iniziale Sotto gli occhi dell’assassino), riflettendo la vicenda vissuta dallo stesso regista, in cui un autore, che si trova a Los Angeles per scrivere una storia, durante il suo soggiorno in California fa un incontro “tremendo e fatale”. Da qui alla sceneggiatura dell’ottavo film di Argento il passo fu breve: la vicenda fu trasferita a Roma e il protagonista divenne uno scrittore americano che, appena giunto in Italia, si trova al centro della persecuzione di un serial killer.

Il riserbo su Tenebre fu strettissimo, fino a pochi giorni dalla “prima”: «Poiché il film è letteralmente esploso sotto la spinta di una grande tensione, ed è il più sorprendente e lancinante dei miei film, avrei voluto che uscisse in sala senza che il pubblico fosse in qualche modo informato di che cosa si trattava. Ma per vie a me ignote sono uscite delle anticipazioni. Ho letto, ad esempio, che sarebbe la continuazione di Suspiria e Inferno. E invece Tenebre non è affatto la continuazione di quei due film». Cosa vera a tal punto che già nei primi quindici minuti Argento sembra voler compiere nei confronti del dittico delle Madri una sorta di abiura simbolica, prima bruciando il libro (ancora uno pseudobiblion come in Inferno, del quale è la stessa voce del regista a leggere alcuni brani) che l’assassino sfoglia nei titoli di testa, e poi facendo subito uscire di scena ammazzata Ania Pieroni, la Mater Lacrimarum del precedente film. Anche l’ambientazione, futuristica, in una Roma stilizzata, dalle tinte metalliche e glaciali, sta in un rapporto antifrastico rispetto alla ridondanza dei colori e delle scenografie delle sue ultime opere: «Le “tenebre” di cui ho parlato e che mi interessavano erano quelle dell’anima, il buio che si annida dentro i personaggi. Per dare risalto a questo concetto ho cercato un’illuminazione a contrasto, “solarizzando” le scene anche quando si svolgevano di notte. Mi interessava esplorare la paura in un ambiente pieno di luce, che secondo me è ancora più spaventoso di uno pieno di ombre, perché ti dà la sensazione di non avere scampo, nessuno schermo dietro cui nasconderti ». Per certi versi, tuttavia, Tenebre (distribuito in Francia e in altri Paesi con titolo alla latina, “Tenebrae”) può essere letto anche come una conclusione del ciclo cominciato con Suspiria e proseguito con Inferno: «Inferno si svolgeva a New York e all’inizio di questo film, quando Tony Franciosa da New York prende l’aereo che lo porterà in Italia, si può anche pensare che sia io che torno a Roma dopo le mie esperienze americane. E, come il protagonista di Tenebre, ritrovo amici che mi parlano di cose nelle quali non mi riconosco più, che non mi interessano più…».

Molti elementi concorrono a far credere che Argento si sovrapponga idealmente al personaggio di Peter Neal, a cominciare dal ruolo sostenuto dalla compagna del regista Daria Nicolodi (che sostituì all’ultimo momento un’attrice americana) e dalla descrizione di un certo ambiente della capitale in cui Neal e il suo entourage si muovono: «È una prospettiva falsa – raccontava Argento a Christophe Gans in una bella intervista pubblicata da Starfix, a proposito di un suo ipotetico tranfert con il protagonista del film – che ho inteso fornire volontariamente. In realtà, ho portato sullo schermo cose che mi sono estranee. Girando Tenebre provavo un odio terribile nei confronti del personaggio dello scrittore. In Suspiria ero ancora completamente dalla parte di Jessica Harper; in Inferno già un po’ meno da quella di Leight McCloskey. In Tenebre sono totalmente contro Franciosa». La dimensione ironica del film, non va comunque persa di vista: «Per anni ho dovuto sorbirmi il giudizio di chi, dal momento che realizzo un certo tipo di storie, crede che io sia un pazzo scatenato o una persona violenta e cattiva. Così ho deciso di fare capire a tutti che questa è una grande stronzata. Peter Neal, alla fine, si rivela l’assassino, contro ogni logica e ogni legge del giallo classico… ma è solo un modo per prendermi gioco di quegli idioti che mi accusano di incitare alla violenza con i miei film o di traviare la gioventù…».

Argento ha sempre disseminato i propri film di criptocitazioni letterarie da Arthur Conan Doyle, l’inventore di Sherlock Holmes, ma in Tenebre è forse la prima volta che il nome dello scrittore viene fatto apertamente e una sua frase («In un’idagine poliziesca, eliminato l’impossibile, quel che resta, per quanto improbabile, dev’essere la verità») diventa addirittura il leit-motiv della vicenda poliziesca. Molto si è discusso anche sulle “ruberie” compiute a danno del film di Argento dal collega-rivale d’Oltreoceano Brian De Palma, che nel suo Body Double (Omicidio a luci rosse) ricorrerà a soluzioni scenografiche post-moderne assai memori di Tenebre (la cornice entro cui avviene il delitto di Deborah Shelton ne è un illuminante esempio) e nel finale di Double Identity (Doppia personalità) copierà pari pari la sequenza in cui Anthony Franciosa si materializza alle spalle di Giuliano Gemma, dietro la sua sagoma. La sperimentazione linguistica di Tenebre, film “del futuro” in tutti i sensi, si è accompagnata all’utilizzo di nuove tecniche per le riprese. Le prodezze di una macchina da presa snodabile di provenienza francese, il “Louma”, consentirono così di realizzare, in un unico, formidabile, piano sequenza, la scena dello “scavalcamento” della villa delle due lesbiche, girata nel quartiere “Le rughe”, presso Roma. E proprio l’omicidio di Mirella D’Angelo e Mirella Banti – che continua le “morti binarie” messe in scena in Suspiria e in Inferno e mai più riproposte da Dario Argento nel suo cinema successivo – presenta curiose analogie con la fine dell’attrice Trisha Walsh che si vede in Terror (1978), di Norman Warren. Una pellicola che era uno scopertissimo clone di Suspiria.