Scompare il creatore dell’Esorcista

Intervista a William Peter Blatty
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Giovedì 12 gennaio 2017 è scomparso a 89 anni William Peter Blatty, autore del romanzo da cui fu tratto L’esorcista, che Stephen King ha definito “il più grande romanzo horror di tutti i tempi”. Ricordiamo Blatty, che fu anche regista dell’Esorcista III e di La nona configurazione, tratto da un altro suo libro, ripubblicando qusta intervista del 2009, apparsa sul numero di Nocturno 87.

Rileggendo la nuova edizione di L’esorcista si nota che lei ha inserito tre lunghe citazioni all’inizio del romanzo: una dal Vangelo di San Luca, una da un’inchiesta dell’Fbi su Cosa Nostra e una da una relazione sui crimini compiuti dai nazisti. Come mai?

Il testo tratto dal Vangelo secondo Luca è incentrato proprio sulla possessione demoniaca, l’ho scelto per questa ragione. Per quanto riguarda la citazione dell’intercettazione dell’Fbi su Cosa Nostra, vorrei dire che, nonostante esistano molteplici mafie, come quella russa ad esempio, negli anni Settanta noi americani eravamo a conoscenza solo di quella siciliana. Ovviamente, il male non ha una nazionalità. Le racconto una strana cosa, che nessuno sembra aver notato. I miei genitori erano libanesi, e la parola araba per mafia, che si pronuncia ma-fi-a (or ha), significa «non ce n’è» o «non esiste». Il caso “Torello”, quello dell’uomo appeso a un gancio come un pezzo di carne, è assieme orribile e demoniaco, proprio come i crimini compiuti dai comunisti ai quali si riferisce il dottor Dooley e come quelli compiuti dai nazisti nei campi di concentramento. È difficile per me dare una spiegazione di azioni malvage tanto incredibili senza prendere in considerazione che vi sia stato “un piccolo aiuto dal basso”. Le tre citazioni sono pensate legate una all’altra.

Quanto è importante narrativamente ma anche concettualmente il prologo della storia nel Nord dell’Iraq?

Durante gli anni Sessanta mi trovavo in Libano, dove lavoravo per l’Information Service degli Stati Uniti, e dovetti recarmi a Mosul per raccogliere del materiale per un settimanale che si chiamava “The News Review”. Alla fine del mio incarico, mi ritrovai con parecchie ore da trascorrere in attesa dell’Orient Express che doveva riportarmi a Baghdad, e andai a visitare un sito archeologico, dove alcuni operai stavano caricando con un montacarichi una figura umanoide grande più o meno come la statua di Pazuzu che appare nel film tratto dal mio libro. Mi ricordo che trascorsi la giornata a rimuginare su cosa avrei potuto scrivere in merito. Così, quando cominciai ad accumulare elementi per il romanzo, scoprii la foto di una statuetta di Pazuzu in un libro di saggi sul demonio intitolato Satana e scritto da un autore appartenente all’ordine cattolico dei Padri del Deserto. Immaginai di usarlo come ispirazione per il demonio che fronteggia Merrin in un precedente esorcismo in Africa e che ritorna a combatterlo di nuovo in L’esorcista. Inoltre, e su questo facemmo fronte comune con William Friedkin quando la produzione ci chiese di eliminare il prologo, il preambolo in Medio Oriente aiuta a creare il substrato mitologico. Siamo di fronte a una battaglia antica quanto l’umanità, a una forza che si è liberata dalle viscere delle terra varcando i confini del tempo e dello spazio.

Che religiosi sono padre Lankaster Merrin e padre Damien Karras?

Padre Merrin e padre Karras sono gesuiti. Io stesso ho frequentato l’università gesuita di Georgetown, a Washington. La compagnia del Gesù garantisce ai suoi sacerdoti una preparazione completa, con forti base teologiche. Sia Merrin che Karras sono sacerdoti in qualche modo atipici, che hanno vissuto (Merrin) o stanno vivendo (Karras) dei momenti di crisi della loro vocazione. Entrambi vivono la loro profonda esperienza religiosa in termini di comprensione, di conoscenza, ma anche di conflitto.

Che rapporto hanno i suoi eroi con la religione e con il male?

Il male è per loro uno spazio dell’anima. Questo emerge più chiaramente nella parte finale del libro, quando i due sacerdoti, dopo aver iniziato il rito, si trovano per la prima volta, in un momento di pausa, a confrontarsi. Una definizione del male e della religione viene espressa da Merrin. E il male, Satana stesso come dice il sacerdote, è uno strumento della volontà di Dio. Anche dal male può nascere il bene.

Quanto la influenzò per la creazione della sua storia l’aver studiato un caso realmente accaduto di possessione demoniaca?

Per una strana circostanza, fu fondamentale per la realizzazione del romanzo. Nel senso che tutto partì proprio dal fatto che per molti anni mi ero documentato sul tema. Nel 1949 avevo letto un articolo sul “Washington Post” che parlava di un ragazzo quattordicenne che era stato liberato dalla possessione diabolica grazie all’intervento di un prete cattolico. L’articolo, a partire dalla testimonianza del prete stesso,  raccontava i dettagli delle manifestazioni del diavolo. Fui molto impressionato da quanto lessi, anzi, mi entusiasmai: mi sembrò incredibile che anche ai miei tempi potesse esserci una prova evidente della trascendenza. Se c’erano dei demoni, allora esistevano anche gli angeli e probabilmente una vita ultraterrena. Cominciai così a documentarmi, senza uno scopo preciso, leggendo libri e studi sulla possessione. Anni dopo, nel 1963, decisi di scrivere un romanzo proprio sulla possessione, ma nessuno dei miei referenti condivideva il mio entusiasmo, nemmeno il mio editore di allora, Doubleday. Abbandonai così del tutto il progetto, fino a quando, nel 1967, conobbi per caso il direttore di Bantam Books, Marc Jaffe. Mi chiese a cosa stessi lavorando e si entusiasmò quando gli parlai di possessione. Mi propose di pubblicare il libro per Bantam e di mandargliene una sinossi. Ma io non avevo in mano niente che potesse essere scambiato per l’abbozzo di un testo, avendo da tempo abbandonato l’idea di dare un seguito a quel mio antico progetto. Non mi restò quindi che attingere ai miei studi, dal caso del 1949 agli altri strani fenomeni in cui mi ero imbattuto facendo ricerche sul tema.

Come si è documentato sulla figura degli esorcisti, ne ha incontrato o intervistato qualcuno di persona?

Essendo io una specie di San Tommaso, avevo bisogno di risalire a casi di possessione diabolica provati e dimostrabili. L’unico che avevo tra le mani era quello raccontato dal “Washington Post”, ma non riuscii a contattare il giornalista che ne aveva scritto. Mi sono concentrato allora sulla letteratura relativa alla possessione. Le fonti disponibili, soprattutto testi pischiatrici, erano poche e ripetitive. E dei casi citati, molti erano chiaramente spiegabili come cattive interpretazioni dei sintomi della psicosi. In particolare molti documentavano casi di schizofrenia paranoica o di nevrosi come l’isteria. Lessi i testi del grande psichiatra Morton Prince, gli studi di un altro grande psichiatra, William James, che aveva seguito il caso di una ragazza dell’Illinois che soffriva di una trasformazione della personalità e dell’identità e che dichiarava di chiamarsi Mary Roof – che si scoprì essere una persona realmente esistita che la ragazza non aveva mai conosciuto. Mi documentai anche sui casi che aveva analizzato Carl Jung. Ma non riuscivo a incontrare i testimoni, qualcuno da poter interrogare, per verificare la correttezza del suo giudizio. Cominciai perciò a chiamare alcuni amici gesuiti, nella speranza che mi mettessero in contatto con qualcuno in vita che avesse praticato degli esorcismi. Fu così che mi parlarono di un prete esorcista, che riuscii, non senza difficoltà, a rintracciare. Mi scrisse una lettera in cui mi raccontava di come i suoi confratelli gli avessero chiesto il massimo riserbo per tutelare prima di tutto la privacy del ragazzo che aveva aiutato, e di come aveva tenuto un diario scrupoloso del caso di possessione che aveva seguito. Non mi era perciò possibile leggere i suoi appunti, ma si dichiarava disponibile ad aiutarmi fino a dove le sue testimonianze non avessero messo a rischio la vita privata del ragazzo che aveva aiutato. In qualche modo, riuscii però a trovare una copia di questo diario, che lessi. E posso oggi affermare che, al di là di ogni dubbio, è una meticolosa e affidabile testimonianza oculare di un fenomeno paranormale.

Ma la Chiesa come reagì a un libro e a un film così scioccanti?

La reazione della stampa cattolica fu ampia e favorevole. “Civiltà Cattolica” fu il primo a parlarne, con una recensione molto positiva di Domenico Mondrone. Il “Catholic News” l’organo ufficiale dell’Arcidiocesi  di New York, scrisse: “L’esorcista è un film profondamente spirituale”, e il molto conservatore “Triumph Magazine” pubblicò una critica entusiastica.

Come mai il demone babilonese, Pazuzu, è così centrale nel libro?

Pazuzu è il demone del vento che soffia da sudovest, quello che trasportava i batteri, e dunque per i babilonesi rappresentava il demone delle malattie. Come le ho detto, ho approfondito questa figura attraverso lo studio dei Preti Carmelitani del Deserto, Satana, pubblicato da Sheed e Ward nel 1959.

Ci furono eventi misteriosi che costellarono la realizzazione del film di Friedkin?

Una maledizione sembrava aleggiare sul set, effettivamente. Dopo due giorni di riprese, un misterioso corto circuito provocò un incendio che distrusse buona parte dello studio. Durante la lavorazione morirono nove persone, tra cui il fratello di Max Von Sydow, il nonno di Linda Blair, il figlio appena nato di un tecnico e l’addetto alla refrigerazione del set; morì anche l’attore Jack MacGowran, il cui personaggio muore anch’esso nel film. Sparì per qualche tempo infine la gigantesca statua del demone assiro Pazuzu che, spedita in Iraq per le riprese del prologo, finì per qualche oscuro motivo a Hong Kong, dove fu  recuperata all’ultimo momento.

Quali sono secondo lei le maggiori differenze fra il romanzo e il film di William Friedkin?

Le differenze non sono di certo sostanziali, ma è ovvio che nella trasposizione filmica si sacrifichi qualcosa. I personaggi marginali, ad esempio, hanno meno spazio rispetto al libro. In particolare la linea mistery del libro, che si regge sulla figura e sulla storia di Karl e sul suo rapporto col detective, non appare, se non in controluce, nel film. Anche il tormento psicologico e esistenziale di padre Karras, che ha ampio risalto nella narrazione, perde di influenza nel film. Era comunque inevitabile, vista la diversità del linguaggio e dei tempi filmici, che la storia si concentrasse maggiormente intorno al triangolo Regan-Esorcisti-Demonio.

Si emoziona ancora oggi a sentire il tema di  di Mike Oldfield che venne scelto per accompagnare il film?

Francamente non più. Mi spaventano però ancora le urla e i suoni utilizzati nella colonna sonora del film per segnalare la presenza del demonio: provenivano dalla registrazione di un esorcismo praticato in Italia. Erano e sono ancora per me terrorizzanti.

Il manifesto originale del film che mostra padre Merrin che al crepuscolo si avvicina alla casa di Regan ha già in sé suggestioni incredibili, chi lo scelse?

Fu scelto da qualcuno nel dipartimento marketing della Warner Brothers.

Non le sarebbe piaciuto tornare a lavorare con William Friedkin per qualche altro progetto?

Abbiamo cercato di lavorare ancora assieme per ben 35 anni. Siamo quasi riusciti a farlo per la trasposizione del mio romanzo Elsewhere, e oggi, finalmente, sembra che Friedkin dirigerà una miniserie a partire dalla mia risceneggiatura del primo Esorcista, che includerà una serie di storie secondarie presenti nel romanzo e che furono eliminate dal film, oltre a materiali completamente nuovi. Al momento stiamo cercando un produttore. Friedkin e io siamo davvero grandi amici, tanto che mi ha permesso di dargli alcuni consigli sul finale del suo ultimo lavoro, la messa in scena di Suor Angelica di Puccini, fortemente permeato da valori cattolici. Durante la realizzazione di L’esorcista, urlò che non intendeva produrre, e lo cito alla lettera, «uno spot per la Chiesa Cattolica»; oggi dorme invece con una copia del Vangelo di San Marco accanto al letto. Mi sembra evidente che anche lui, seppur ebreo, ha scoperto Cristo.

Prima di L’esorcista lei aveva sceneggiato assieme a Blake Edwards Uno sparo nel buio che ha dato l’avvio alla saga della Pantera Rosa. La divertì quel progetto?

È impossibile non divertirsi quando Peter Sellers si aggira attorno alla tua macchina da scrivere notte e giorno! Ho cominciato a scrivere la sceneggiatura di Uno sparo nel buio durante il viaggio in nave per l’Inghilterra insieme a  Blake e Peter, e a Londra alloggiavamo in tre suites comunicanti al Dorchester Hotel. Peter veniva a sbirciare i miei fogli e spesso cadeva letteralmente a terra in preda a un riso irrefrenabile. Altre volte passava semplicemente per chiacchierare, o per raccontarmi strani aneddoti, come di quando aveva venduto la sua vecchia casa perché era infestata dai fantasmi – pare che avesse preso quella decisione la sera in cui aveva visto i calzini che aveva abbandonato ai piedi del suo letto levitare! Mi ricordo che un giorno mi svegliò all’alba solamente per chiedermi di ripetere una barzelletta che voleva riferire a qualcun altro.  Quando fui pronto a rientrare negli Stati Uniti per consegnare la sceneggiatura a Shirley MacLaine, alla quale Edwards voleva affidare il ruolo della protagonista femminile, raccontai a Blake del mio libro sulla possessione demoniaca. L’idea gli piacque e disse che mi avrebbe anticipato i soldi così che potessi concentrarmi su questo lavoro. Ma quando ne parlai con il suo partner, Marty Jurow, questi spostò lo sguardo sulle mie scarpe e chiese «Bill, dove le hai comprate?». E non tornò mai più sul mio libro!

Lei ha lavorato con Edwards anche in Peter Gunn: 24 ore per l’assassino, Papà ma cosa hai fatto in guerra?, Operazione crepes souzettes e con Danny Kaye per The Man from The Diners Club. Come ha fatto uno sceneggiatore di commedie brillanti come lei a passare all’horror?

C’è stato un periodo in cui le commedie non andavano affatto di moda, tanto che si era smesso di produrne. E io ero uno sceneggiatore conosciuto per le sue commedie terribilmente farsesche; difficile riciclarmi come scrittore drammatico. Ragionavo sull’idea di un romanzo incentrato sulla possessione demonica dai tempi dell’Università, più con l’intento di mandare un messaggio apostolico che per diventare ricco e famoso. Avendo ormai parecchio tempo libero a disposizione, e i sussidi di disoccupazione su cui contare, decisi che era arrivato il momento per scrivere quel libro.

Quanto si sente legato a sue opere successive come L’esorcista III – Legion e La nona configurazione?

Per quanto riguarda L’esorcista III – Legion, di cui ho curato io stesso la regia nel 1990,  il processo è stato inverso a L’esorcista perché ho scritto prima la sceneggiatura del film e poi il romanzo. Per quanto riguarda La nona configurazione, la cui versione cinematografica ho sempre diretto io nel 1980, ho scritto invece il romanzo ben due volte. La prima edizione, pubblicata da Doubleday, era piuttosto comica; la seconda, pubblicata da Harper and Row dopo il grande successo di L’esorcista, più letteraria e drammatica. Usciranno assieme a breve in un’unica edizione negli Stati Uniti.

Attualmente qual è la cosa che in assoluto le fa più paura?

Venire a conoscenza che il ristorante Gusto di Roma ha eliminato la pizza numero 3 dal proprio menu!!!