Salò, ultimo girone: prima sessione

Il Duca è il voyeur. L’Eccellenza officia, il Presidente e il Monsignore assistono. I fanciulli Antonio Orlando, Renata Moar, Franco Merli e la figlia Susanna Redaelli sono le vittime. L’ordine nel film corrisponde all’ordine reale
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Una struttura “matematica” è decisamente ravvisabile nel modo in cui le torture vengono scandite in Salò . Essa si basa sul ritorno costante e ossessivo del numero 4. Quattro sono le sessioni di morte, quattro i carnefici, quattro le vittime che di volta in volta patiscono le sevizie, quattro gli assistenti dei torturatori. La prima sessione dei supplizi prevede che il ruolo del voyeur armato di binocolo sia tenuto dal Duca, cioè da Paolo Bonacelli, mentre in campo vi sono il Monsignore, Il Presidente e l’Eccellenza (rispettivamente Giorgio Cataldi, Umberto Paolo Quintavalle e Aldo Valletti). Il modus operandi è sempre il medesimo: tre tra i fanciulli e le fanciulle condannate vengono trascinati nel cortile, svestiti a forza dei camicioni grigi che indossano e legati nudi, mani e piedi, a dei picchetti confitti nel terreno. La quarta vittima è una delle figlie e subisce le violenze senza però mai essere completamente denudata. Dalla destra alla sinistra rispetto all’osservatore, in questa fase iniziale, i primi tre olocausti sono Antonio Orlando, Renata Moar e Franco Merli. La figlia è Susanna Redaelli (Susy), alla quale era stato riservato, in precedenza, il terribile scherzo del boccone di polenta farcito di chiodi. L’ ”officiante” è Aldo Valletti, il quale, munito di una candela, comincia col bruciare il membro ad Antonio Orlando e passa quindi a infliggere il medesimo supplizio ai senti di Renata Moar. Il terzo fanciullo straziato risponde al nome di Franco Merli, e a lui l’Eccellenza, con l’aiuto degli assistenti che gliela reggono con una pinza, taglia la lingua tramite un rasoio. A seguire, Susanna Redaelli, dopo essere stata presa a tergo dal collaborazionista Claudio Trocchi, viene strattonata verso un patibolo e impiccata. Nel film questo non si vede, ma dalle foto di scena sappiamo che le tre vittime a terra, rivestite delle casacche grigie, morivano nello stesso modo, impiccate alla forca.

Il backstage di Gideon Bachmann – visibile in parte negli extra del dvd francese di Salò edito da Carlotta – ci dà la possibilità di vedere e sentire Pasolini mentre orchestra la regia di questa prima serie di orrori: quando dice a Orlando (“Tonino”) di tenere gli occhi aperti mentre urla di dolore e di guardare in macchina, spiega a Renata Moar come deve crollare svenuta con la testa a terra e riprende Valletti perché non maneggia la candela in modo sufficientemente ieratico («… Deve essere come il gesto di un prete»). I fanciulli protagonisti di questa prima tornata erano, chi più chi meno, attori di professione: lo era Antonio Orlando e lo era Renata Moar, romana di Monteverde, celebre proprio a causa dei suoi truci patimenti in Salò: non tanto per i seni ustionati quanto per la costrizione a mangiare gli escrementi di Bonacelli in una sequenza al termine della quale la collega Antiniska Nemour testimonia che la poveretta – nonostante la “cacca” fosse cioccolato con i canditi – vomitò sul serio. La Moar è, tra le vittime, uno di quei caratteri che hanno più spicco e più spazio; le toccano varie scene madri: quando viene offerta nuda e in lacrime all’occhio dei quattro signori, nella selezione all’inizio; quando sul di lei corpo si compie esperimento masturbatorio per stabilirne la femminilità; quando va in sposa al fanciullo Sergio con l’orgia che segue la cerimonia; e nella citata coazione alla coprofagia. Le foto di scena documentano la sequenza girata ma non montata in cui Renata veniva rapita dai fascisti e sua madre moriva annegata cadendo nel fiume – nel film è rimasto solo il racconto dell’evento. Antonio Orlando non è particolarmente individualizzato (oltretutto assomiglia a Bruno Musso, anch’egli con i capelli ricci) e non ha molto spazio al di fuori dell’Antinferno: Quintavalle lo nota subito nella selezione e fa riferimento alla storia personale del fanciullo quando dice che è figlio di un suo collega e che da due anni gli ha messo gli occhi addosso. Più intuibile che non mostrato con chiarezza, un momento successivo in cui, nella sala delle orge, Orlando masturberà Cataldi. Nato a Napoli nel 1960 e scomparso nel 1989 in seguito a un incidente automobilistico, Orlando ha legato la sua presenza nel cinema soprattutto ad alcune pellicole di Werner Schroeter (Nel regno di Napoli, Palermo or Wolfsburg e Der Rosenkönig, l’ultimo film che girò prima di morire).

Chi è invece diventato immagine emblematica, volto immediatamente riconducibile a Salò, è Franco Merli, al quale nell’istante del taglio della lingua Pasolini raccomanda di ribellarsi bene e che chiama “Franchino”. Merli, siciliano di Corleone, è l’unico attore pasoliniano sul set: leggenda narra che il regista lo avesse casualmente scoperto in un chiosco di benzina e gli avesse offerto subito la parte di Nur Ed Din, nel Fiore delle mille e una notte, colpito dal suo “spirito da sedicenne in un corpo da diciottenne”. Merli viene messo in evidenza al momento di presentarlo dalle parole del mezzano bergamasco: («Lo sapevo che lo avreste preso in considerazione…») e dal fatto che i quattro signori pretendono di vederlo nudo. Avrà poi una grande scena a sé vincendo il concorso per il culo più bello e quale vittima del macabro scherzo per cui gli viene fatto credere che come premio avrà la morte.