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Zonbi Asu

2011
Titolo Originale:
Zonbi Asu
REGIA:
Noboru Iguchi
CAST:
Arisa Nakamura (Megumi)
Mayu Sugano (Aya)
Asana Mamoru (Maki) Yûki

Il nostro giudizio

Zonbi Asu è un film del 2011, diretto da Noburo Iguchi

Bonjour finesse! verrebbe da esclamare; ma è sicuramente il miglior saluto augurabile a questo Zonbi Asu (in Occidente Zombie Ass: Toilet of the Dead), impareggiabile esempio di scatologia cinematografica. Un gruppo di giovani provenienti dalla città si reca in gita tra boschi popolati da morti viventi – o qualcosa di assai simile – e da orrendi parassiti in crescita costante e di ignota provenienza. Costretti a fuggire a piedi, si rifugiano in un minuscolo villaggio dove abitano uno scienziato – tra i più folli mai apparsi al cinematografo – e la derelitta figlioletta – ancora più folle del suo genitore. Manco a dirlo, i due sono responsabili dell’orribile mutazione occorsa ai locali e, ora, anche ai giovani gitanti. Attraverso un autentico uragano di flatulenze (l’elemento fondamentale su cui il film si costruisce, sia a livello comico che narrativo), la giovane eroina di turno sconfiggerà la folle coetanea in un duello completamente fuori di testa, che vede quest’ultima allearsi con la Regina Madre dei parassiti. Noboru Iguchi (Kataude mashin gâru, 2008; Deddo sushi, 2012) dirige con mano ben più pesante di un Nando Cicero alle prese con un “Alvaro Vitali/Pierino-movie”, costruendo su un trito canovaccio una vicenda volutamente delirante e abborracciata.

Il vero problema di Zonbi Asu è proprio il fatto che denunci sin da subito il suo “status” referenziale al cinema “ultra-trash”, dalla Troma fino alle assurde volgarità di Ginî piggu No. 4: Pîtâ no akuma no joi-san 1986 di Hajime Tabe, rendendo stucchevole l’eccesso di compiacimento messo dai suoi autori – lo stesso Iguchi, più Ao Murata (Gurozuka, 2005, di Yôichi Nishiyama) e Jun Tsugita, già regista di Fasshon heru, 2010. Il risultato è una regia pilotata a velocità forsennata, ma come se avesse lo sterzo bloccato. Una sarabanda di effetti splatter artigianali, più o meno efficaci, si mescolano a una sarabanda ancor più corposa di effetti digitali (già poco credibili, o per nulla, nella norma, figurarsi questi che risultano spesso affrettati e approssimativi), accompagnandosi a volgarità e a culi denudati come se piovesse, con gli immancabili dialoghi allucinanti infilati in bocca a personaggi che più caricaturali sarebbe difficile (e la recitazione complessiva si adatta perfettamente a questo tenore).

Tra i momenti “clou” di Zonbi Asu si segnalano parassiti che escono dall’ano strappando le mutande, uno zombi immerso fra i liquami della fossa di una cloaca, l’eroina che sfrutta le sue scoregge come forza propulsiva per veleggiare nel cielo, e così via, in una serie interminabili di “delicatessen” più o meno similari. Pesa su tutta l’operazione – che in realtà regala qualche momento di autentico spasso – quel senso di forzatura che lo rende artefatto e banalmente volgare – a differenza dei titoli del succitato Cicero – appesantendo così la visione, senza, talora, mancare di risultare offensivo.