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Yellowjackets

2021
REGIA:
Karyn Kusama, Jamie Travis, Eva Sørhaug, Deepa Mehta, Billie Woodruff, Ariel Kleiman, Daisy Von Scherler Mayer, Eduardo Sanchez
CAST:
Melanie Lynskey (Shauna adulta)
Tawny Cypress (Taissa adulta)
Ella Purnell (Jackie)

Il nostro giudizio

Yellowjackets è una serie televisiva del 2021, creata da Ashley Lyle e Bart Nickerson

La serialità televisiva odierna offre davvero pochi spunti: le antologie iniziano a sconfinare troppo, mentre solo le miniserie riescono ad appassionare con la promessa e premessa di non tirare troppo la corda. Il racconto televisivo complesso, invece, è ai minimi storici, allungato come il proverbiale brodo. Poi, come in tutte le cose, ci sono le eccezioni: Yellowjackets, appunto. Niente di troppo elaborato o pretestuoso, solo un prodotto semplice, impacchettato e servito come Cristo comanda. Scusa se è poco, diceva Abatantuono. Perché la tv ha da fare la tv, con tutti gli espedienti e le furbizie che il cinema non può naturalmente permettersi. Ma può anche avvicinarsi al suddetto se riesce a presentarsi nel modo giusto, ad acchiappare lo spettatore giocandosi subito le sue migliori carte: l’importanza del pilota, anche questa dimenticata. Il primo episodio di Yellowjackets, diretto dalle mani esperte di Karyn Kusama, lo fa in modo eccellente e, se non ci fosse la curiosità per il prosieguo, potrebbe benissimo bastare a sé lasciando soddisfatti.

Due piani temporali: il 1996 e il 2021. Nel primo risiede l’oggetto probabilmente più accattivante, ossia l’incidente aereo di cui sono vittime le ragazze di una squadra liceale femminile di calcio e la loro lotta per la sopravvivenza, durata 19 mesi, in una zona selvaggia e disabitata dell’Ontario. Nel secondo arco narrativo, invece, assistiamo alla vita adulta delle poche sopravvissute, con il suddetto passato che torna inevitabilmente a bussare alla porta dopo diversi fatti misteriosi ed inquietanti. C’è il pacchetto, si è detto: c’è il revival anni Novanta, tra hit dell’epoca e la presenza di icone come Melanie Lynskey, Christina Ricci e Juliette Lewis, e c’è il giusto e accattivante miscuglio tra thriller, survival e diversi sottogeneri dell’horror, tra folk e possession. Ciò non deve però distrarre dalla sostanza, che è presente e assolutamente preminente. Perché Yellowjackets è innanzitutto un campionario di sensazioni: un dramma prevalentemente al femminile dove ogni personaggio e la rispettiva interprete riescono a comunicare in modo davvero complesso conflitti interiori, paure, amori e odi repressi, segreti, lotte di potere: il tutto con il sesso e la crudeltà a fare da collanti, specie nella parte più drammatica e “bildungsroman” di questa macro-storia. È così che una scena erotica e una di carattere gore assumono, nella serie, quasi gli stessi conturbanti e disturbanti connotati.

Il paragone più volte scomodato con Il Signore delle Mosche non basta dunque a inquadrare questa serie nella sua totalità, se non per la parte che salta subito all’occhio e il cui disvelamento viene sempre scaltramente rimandato. La costruzione è in effetti fondamentale per far arrivare sia il tempo passato che il tempo presente alla medesima conclusione, e quindi al cosiddetto whodunit e al cliffhanger che crea le giuste attese per la seconda stagione. Forse è questo l’unico vero problema di Yellowjackets: il fatto di aver creato un equilibrio così perfetto tra i due piani temporali da non potersi permettere passi falsi in futuro. Un esame da superare quando gli schermi si riaccenderanno, ma che per ora è un’inezia rispetto a dieci primi episodi che rimangono impressi con forza, attraverso una lenta discesa verso l’oscurità e un progressivo abbandono della ragione. Quello che, nell’intorpidimento dei sensi, genera i mostri e uccide l’innocenza.