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Yara

2021
REGIA:
Marco Tullio Giordana
CAST:
Isabella Ragonese (Letizia Ruggeri)
Alessio Boni (colonnello Vitale)
Thomas Trabacchi (maresciallo Garro)

Il nostro giudizio

Yara è un film del 2021, diretto da Marco Tullio Giordana.

Marco Tullio Giordana ha incentrato Yara sulla figura della pm Letizia Ruggeri, una donna che non si è mai arresa a chi ha tentato inutilmente –  e sono stati molti, anche ai “piani alti”, per citare un archetipo dei poliziotteschi nostrani anni 70, evidentemente ancora di attualità – di intralciare le indagini di questa magistrata tutta d’un pezzo che ha fatto sì che il colpevole, Massimo Bossetti, venisse condannato all’ergastolo in via definitiva dopo una costosissima inchiesta da 60.000 pagine. La Ruggeri, interpretata da una convincente Isabella Ragonese, ha il piglio di una donna che s’è fatta le ossa alla Procura di Caltanissetta (nella  realtà ad Agrigento) avendo a che fare con spinosi delitti di mafia;  pratica la boxe (nella realtà il karate); si muove su una potente moto Honda blu; ha suonato in gioventù la chitarra in una punk-band; e trova anche il tempo per fare la mamma. Ha 44 anni quando le viene affidata l’indagine su Yara, scomparsa la sera del 26 novembre 2010. Il film si apre con una ripresa aerea, in soggettiva, di un modellino di biplano telecomandato  che conclude il suo volo schiantandosi in un campo di Chignolo d’Isola, laddove verrà ritrovato il corpo di Yara, a tre mesi dalla sua morte e a 10 chilometri da casa sua. La ragazzina viene  identificata subito per via della sua maglietta azzurra, i suoi leggings neri e le sue  scarpette All Star. Da qui il doppio flash-back che ha inizio con una Yara ancora viva ed entusiasta delle lezioni di ginnastica ritmica che segue in una palestra a 300 metri da casa (Yara è interpretata da Chiara Bono, già protagonista de I figli del destino, fiction di RaiUno sulla vita di Liliana Segre e comparsa anche in  Don Matteo e Che Dio ci aiuti).

Le pagine del suo diario sono quelle di una studentessa di terza media piuttosto profonda nei suoi ragionamenti. Si  prosegue con le immagini della ragazzina insistentemente affiancata da un camioncino Iveco bianco (come quello del suo futuro assassino). Poi, la sera del 26 novembre intorno alle 17 e 30, mentre le abitazioni del paese sono giá addobbate con i festoni natalizi,  Yara raggiunge a piedi la sua palestra per portarvi uno stereo e da quel momento si perdono le sue tracce. I genitori, persone di grande dignità e poco avvezze ai pianti da tragedia greca, sperano ancora si tratti di un evento programmato dalla figlia, ma il terrore via via si impadronisce di loro   quando la voce scherzosa della segreteria telefonica del cellulare di Yara continua a ripetere ossessivamente: “ciao sono Yara… ma no è la segreteria….”. Qui subentra l’altra protagonista della vicenda, la pm Ruggeri che esordisce prendendo una cantonata (lo dice lei stessa) facendo arrestare in modo rocambolesco (intercettandolo su una nave salpata da Genova per Tangeri) un marocchino del tutto estraneo ai fatti, operaio nel vicino cantiere di Brembate e vittima di un’intercettazione telefonica  mal tradotta dall’arabo. Dopo 90 giorni, la realtà si palesa con il rittovamento del corpo di Yara, martoriato da colpi di spranga e ferite da arma da taglio (ma morta per ipotermia). Nessuna violenza sessuale evidente. E si ricomicia daccapo: la Ruggeri, coadiuvata dal colonnello Vitale (un Alessio Boni un po’ troppo compunto, quasi robotico) e bombardata dai media, decide di puntare tutto sui reperti genetici dell’assassino ritrovati sui resti della ragazza. E mette in atto il suo piano: fa esaminare il DNA dei paesani, degli operai del vicino cantiere e di chi, in zona, volontariamente accetti l’analisi.

Ha fortuna: un terrorizzato  Damiano Guerinoni viene convocato in Procura perchè il suo codice genetico rivela un aplotipo y, come si chiama in termini tecnici, ovvero una traccia genetica che, in questo caso, corrisponde a quella lasciata dall’assassino sugli indumenti intimi di Yara. Bingo, direbbero gli investigatori di una serie tv americana alla Law and Order. Ma non e così. Damiano non c’entra direttamente, ma grazie a lui, attraverso una complessa catena genetica, si giunge a Giuseppe Guerinoni, un  autista scomparso nel ’99  e che ebbe un figlio fuori dal matrimonio con la madre di Massimo Bossetti, operaio lampadato oltremisura, bella moglie e padre di tre figli nonchè frequentatore di siti hard per amanti delle vagine depílate di giovani fanciulle. Bossetti viene condannato all’ergastolo fino alla Cassazione. Lui continua  dichiararsi innocente e i suoi avvocati hanno già presentato tre ricorsi, tutti respinti, alla Corte Suprema e si accingono, oggi, a presentarmne una quarta, in quanto – sostengono – non sono stati mostrati alla difesa alcuni reperti da cui è stato tratto il DNA di Bossetti.  Ma di ciò il film riferisce, in parte, solo sui titoli di coda. Yara e un film sobrio che non alza mai i toni e che non gioca sui facili sentimenti del pubblico. Giordana (per inciso, l’autore di Maledetti vi ameròI cento passi, La meglio gioventù, solo per citare, a mio parere, le sue opere migliori) realizza un documento fedele ai fatti con piccole, ininfluenti, digressioni autoriali rispetto alla realtà e che, nonostante ciò, ha suscitato le immancabili critiche da parte degli avvocati di Bossetti.