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Wrath of Man

2021
REGIA:
Guy Ritchie
CAST:
Jason Statham (Patrick "H" Hill / Heargraves)
Scott Eastwood (Jan)
Jeffrey Donovan (Jackson)

Il nostro giudizio

Wrath of Man è un film del 2021, diretto da Guy Ritchie.

Dietro la valanga di film americani o “americanoidi” incentrati sulla violenza, c’è alla base una sola motivazione: la vendetta. Il protagonista deve farla pagare a chi gli ha ammazzato il figlio; stuprato e ucciso la moglie; rapito e seviziato la figlia; massacrato il migliore amico. Si potrebbe andare avanti per ore. Chi ha subito un torto così definitivo, non può che vendicarsi. Deve farlo. Il pubblico non discute, accetta e si accomoda, seguendo le gesta del vendicatore, il suo cammino asfaltato di sangue e viscere cattive. Ma cos’è il bisogno di vendetta? Siamo sicuri che tutti questi film ci dicano qualcosa sul sentimento totalizzante, alienante del sangue per il sangue, il dente per dente? Vendicarsi nel cinema più recente è in realtà solo il grosso bullone di un ingranaggio filmico. Gli sceneggiatori lo usano senza sprecarsi troppo a cercarne altri che reggano l’insieme di morte e distruzione. Si potrebbero uccidere dieci persone per avidità o magari per noia, ma la vendetta è il più intrigante e moralmente accettabile dei motivi: permette al pubblico di godersi il massacro e di incoraggiarlo, senza provare alcun disagio, perché chi muore se l’è meritato e chi vive aveva ragioni valide, negate dai tribunali ma in fondo sacrosante. Se tu uccidi mio figlio io ucciderò te. Eppure la vendetta andrebbe esplorata. Scopriremmo che non è un sentimento così invincibile e che nella realtà è solo una delle infinite vie generate dalla rabbia e dal dolore. Magari il protagonista potrebbe cercare di rifarsi una vita e capire che covando rabbia e sete di morte resterà incastrato in un meccanismo che non gli restituirà nulla.

È solo un esempio tra moltissimi, ma dubitiamo che il cinema della violenza di oggi possa rinunciare a un plot così infallibile, sebbene si tratti del più inverosimile e ipocrita di tutti. Certo, Wrath of Man di Guy Ritchie non vuole condurci a simili riflessioni, anzi. Si basa su vecchie certezze e non intende discuterle. È uno dei tanti film sulla vendetta, forse girato meglio di altri, pensato di più strutturalmente, ma che ci lascia esattamente come eravamo. Un film francese è facilmente convertibile in un film americano, come nel caso di Le Convoyeur di Nicolas Boukhrief di cui Wrath of Man è il remake, poiché l’originale è stato concepito con le stesse regole e la stessa commestibilità di un film realizzato per gli Stati Uniti. Questo non significa che Le Convoyeur, noto anche come Cash Truck, sia brutto e scemo, ma che tutto il buono presente in esso, è perso nella traduzione. Ciò che conta per Guy Ritchie è lo spunto western. Un grande capolavoro del passato (8 e mezzo, Il settimo sigillo) non avrebbe potuto essere tradotto in un contesto americano e questo era un indizio della sua unicità e renitenza a un mercato industriale in favore della vera arte. Alba tragica non poteva diventare una roba con Henry Fonda, se non cambiando il plot. Oggi tutto è pacificamente (dall’opera originale alle succursali creative che ne derivano) un potenziale franchise. Wrath of Man è un noir pieno di ritmo, colpi di scena, forse un po’ lunghetto ma tutto sommato duro e crudele come i polar e i noir della vecchia scuola, peccato manchi di ironia (sapientemente usata nell’originale di Boukhrief e che Ritchie, inaspettatamente rinuncia a portare con sé).

Questo film non ha tempo per la vita, è interamente votato alla morte e la distruzione, con un grande Jason Stateman, calibrato come un ghiacciolo di precisione sparato da un chilometro direttamente nel nostro sedere. Ma l’assenza di vitalità genera noia. Il cast è buono, i teoremi ritmici dello script sono impeccabili, il regista ha un’innegabile abilità nel gestire un certo tipo d’azione cruenta.  Wrath of Man non ci offre inquiete riflessioni sulla vita dei reduci di guerra (tipo il primo Rambo o Combat Shock) non ci sprofonda nel cuore annerito di un padre criminale, ormai orfano del figlio innocente (Un borghese piccolo piccolo e persino The Convoyeur). Le implicazioni di questi due segmenti narrativi non vengono esplorate perché non importa: ciò che serve è convincere con le cattive il povero spettatore che le cose mostrate e godute: budella, cervella e morte, sono frutto di un conflitto abbastanza coerente tra “pupazzuomini” incastrati in un loop di egotismi estremi e magnetismi cimiteriali. Il giovane Dougie (Eli Brown), freddato da un avido figlio di puttana ci lascia indifferenti: non abbiamo tempo di conoscerlo, e i pochi minuti che passiamo con lui non ci permettono di sviluppare un sentimento che ce lo faccia rimpiangere. Nemmeno il ragazzino ammazzato a freddo in The Convoyeur lo conosciamo, ma lo scavo psicologico sul padre svolto per il 60% del film, ci permette di capire quel bambino e il dolore, la rabbia derivanti dalla sua morte gratuita. In Wrath of Man, di H. il protagonista sappiamo poco, il suo volto è un giubbotto antiproiettile attorno a un motore cardiaco già mal funzionante, visto che è un criminale ancora prima di ricevere il torto dei torti. Il padre che ha perso il figlio è un mostro come tutti gli altri. Il suo cambiamento è solo di male in peggio.