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What Do We See When We Look at the Sky?

2021
REGIA:
Alexandre Koberidze
CAST:
Ani Karseladze (Lisa)
Giorgi Bochorishvili (Giorgi)
Oliko Barbakadze (Lisa)

Il nostro giudizio

What Do We See When We Look at the Sky? è un film del 2021, diretto da Alexandre Koberidze.

Fa un certo effetto recensire oggi, a un mese dalla vittoria argentina dei Mondiali di calcio, il secondo lungometraggio del georgiano Alexandre Koberidze, dove in tempi non sospetti (il film è del 2021) s’immagina che a sollevare la Coppa del Mondo siano proprio Leo Messi e compagni. Semplice coincidenza o profezia magicamente avverata? Verrebbe quasi da chiederselo, a fronte di un’opera dai toni fiabeschi che pare invocare, oltre ogni logica e pensiero verticale, una sensibilità permeabile all’incanto del reale. Così è con l’irruzione del fantastico che si apre What Do We See When We Look at the Sky?, allorché una maledizione colpisce Lisa e Giorgi, due sconosciuti che accidentalmente si scontrano per le strade di Kutaisi (Georgia) e subito s’innamorano, decidendo di rivedersi l’indomani. Ma nella notte un misterioso incantesimo muta radicalmente il loro aspetto, condannandoli a non ritrovarsi più. Perduti anche i rispettivi talenti per via del sortilegio, i due innamorati devono reinventarsi e finiscono casualmente per venire assunti dallo stesso bar, incontrandosi ogni giorno senza saperlo, nella mutua attesa di un ricongiungimento che avverrà soltanto grazie al provvidenziale intervento del cinema.

Dopo lo sperimentale Let the Summer Never Come Again (2017), Koberidze confeziona un altro singolare oggetto filmico che, pur rinunciando alla radicalità estetica dell’esordio (interamente girato con un cellulare a bassa definizione, mentre qui si opta per un misto di pellicola 16mm e digitale hd), sorprende per inventiva e libertà espressiva. A uno sguardo che oscilla tra vocazione documentaria e trasfigurazione poetica, infatti, corrisponde una narrazione che procede per scarti e deviazioni inattese, disperdendo l’iniziale plot sentimentale nel racconto per frammenti di un’intera città. Immersa in un’atmosfera surreale e fuori dal tempo, Kutaisi diviene uno spazio di soglia tra realtà e finzione, un luogo incantato dove tutto sembra possibile – anche che dei cani randagi si diano appuntamento per seguire i mondiali in tv o che una grondaia metta in guardia una ragazza da un maleficio imminente – e dove ogni cosa racchiude una trama segreta. A fornire una chiave d’accesso a questo fantasioso microcosmo è un narratore esterno onnisciente (lo stesso regista), che commenta la visione e chiama in causa lo spettatore, disseminando indizi e suggerendo riflessioni.

Koberidze sembra raccogliere il proverbiale invito a guardare il mondo con gli occhi di un bambino, filmando la realtà che lo circonda con uno sguardo colmo di stupore e meraviglia, e dedicando numerose sequenze ai bambini di Kutaisi, colti in momenti di spensierata quotidianità. Certo, talvolta rischia di scivolare nella ricerca del suggestivo a ogni costo, con riprese che indugiano in prolungati campi fissi, enfatici ralenti e primi piani emozionali. Così come risultano un po’ forzati i rilievi in voice over sulla violenza e crudeltà della nostra epoca. Tuttavia, l’autore georgiano è abile a eludere certi eccessi retorici e a non crogiolarsi nel lirismo contemplativo; grazie soprattutto a un’ironia di fondo che opera attraverso il montaggio (con stacchi inaspettati che spezzano il pathos provocando divertenti cortocircuiti di senso) e puntella gli interventi del narratore, il quale arriva persino a chiedersi perché mai si sia scelto di rappresentare un soggetto così insolito e inappropriato… Quel che resta è una chiara idea di cinema restituito alla sua forza primigenia di creatore di senso, in una rinnovata professione di fede nelle immagini e nel loro potere rivelatorio. Non a caso, sarà proprio rivedendosi nelle immagini catturate da una piccola troupe cinematografica al lavoro in città che Lisa e Giorgi sapranno di nuovo riconoscersi, rompendo l’incantesimo che li ha divisi e liberando la loro storia tra le infinite altre a cui il cinema è chiamato a dare voce.