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Wetlands

2013
Titolo Originale:
Feuchtgebiete
REGIA:
David Wnendt
CAST:
Carla Juri (Helen Memel)
Christoph Letkowski (Robin)
Marlen Kruse (Corinna)

Il nostro giudizio

Wetlands è un film del 2013, diretto da David Wnendt.

Il sesso, al cinema, vuoi per motivi di censura, vuoi per esigenze narrative, è quasi sempre rappresentato come un qualcosa di pulito e asettico. Stessa sorte tocca al corpo umano, mondato da ogni forma di sudiciume ed esposto al pubblico solo in quanto oggetto da ammirare o invidiare, a seconda della disposizione d’animo del momento. Non che ci sia qualcosa di male, in questo: il cinema fabbrica anche l’illusione di essere migliori di ciò che siamo, ed è sacrosanto poter indulgere in questa illusione. Solo che, ogni tanto, è anche salutare che arrivi un film come Wetlands a dispensare verità e fluidi organici in egual misura. Di solito, questo è un compito che spetterebbe all’horror, al body horror in particolare, ma si dà il caso che Wetlands sia un romanzo di formazione che sfocia nella commedia romantica. È anche un film che è consigliabile vedere lontano dai pasti e che comincia con un sequenza titoli di testa che va dentro una macchia sospetta sulla tavoletta di un gabinetto pubblico e ingrandisce fino a mostrarci l’universo batterico al suo interno, giusto per farci capire subito dove il film andrà a parare. Se siete un minimo deboli di stomaco, vi conviene starne lontani, perché rischiate di rigettare tutto quello che avete mangiato negli ultimi due o tre giorni.

Wetlands è eccessivo, disgustoso, perverso, grossolano e ineducato, proprio come la sua protagonista, Helen (interpretata da Carla Juri), una ragazzina sessualmente disinibita e con delle convinzioni sull’igiene personale non del tutto ortodosse, che un giorno ha un “incidente di depilazione” con conseguenze nefaste sul suo già cronico problema di emorroidi. Ricoverata in ospedale e operata, Helen cercherà in tutti i modi di far tornare insieme i suoi genitori divorziati, e di conquistare il cuore di un infermiere. Il film, diretto dal tedesco David Wnendt, è tratto dall’omonimo romanzo d’esordio di Charlotte Roche, uscito anche da noi col titolo Zone Umide, grande successo in Germania e sorta di manifesto femminista. Wnendt ne fa una trasposizione coloratissima, girata e montata alla velocità della luce, con sprazzi quasi psichedelici, che però non si tira indietro di fronte a qualche momento più riflessivo e posato, soprattutto nel raccontare il rapporto tra Helen e i suoi genitori. Ed è proprio la regia il punto di forza del film, una messa in scena che tratta i dettagli più ripugnanti come se fossero assolutamente normali, che cambia ritmo in maniera repentina, passando dalla risata con conato di vomito, alla dolcezza, alla commozione, che infonde energia pura in ogni situazione e personaggio, che riesce nell’impresa complicatissima di trasformare un’arte visiva come il cinema in uno strumento di percezione tattile.

Wetlands non si ricorda e non si ama per la sua sceneggiatura, ma per l’inventiva e la giusta dose di controllata follia con cui Wnendt estrae, da una storia tutto sommato banale, l’essenza iconoclasta, il grido di libertà per i nostri corpi obbligati a sottostare a tutta una serie di regole sociali che, viste attraverso gli occhi di Helen, arrivano ad apparirci ancora più oscene e disgustose di tutta la serie di schifezze assortite cui assistiamo nei quasi 100 minuti del film. Merito anche dell’interpretazione perfetta di Carla Juri, molto giovane e con un ruolo niente affatto facile da portare sullo schermo. Eppure è così naturale, così leggera nel sostenere il peso di questo personaggio, che persino i momenti più assurdi, grotteschi e sopra le righe, brillano di una luce tutta particolare, di una dolcezza che trascende la situazione triviale in sé e la trasforma in un’esperienza di crescita, in un viaggio alla scoperta del proprio corpo e della propria individualità. Wetlands, visto da questa prospettiva, non è affatto un film provocatorio o scandaloso per il semplice gusto di esserlo, ma una presa d’atto di ciò che realmente siamo: sacchi pieni di merda e sangue e orrori vari. Solo che non dobbiamo rifiutare o nascondere la nostra più intima e disgustosa natura; al contrario, dobbiamo abbracciarla.