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We Are Who We Are

2020
REGIA:
Luca Guadagnino
CAST:
Chloë Sevigny (Sarah Wilson)
Jack Dylan Grazer (Fraser Wilson)
Alice Braga (Maggie Teixeira)

Il nostro giudizio

We Are Who We Are è una serie tv del 2020, creata da Luca Guadagnino, Paolo Giordano, Francesca Manieri e Sean Conway.

Fraser è un insicuro quattordicenne di New York con le unghie laccate e il labbro superiore sfocato. Legge William S. Burroughs, ascolta l’androgino cantante tedesco anni ’70 Klaus Nomi e, attraverso atteggiamenti derisori, mostra scarso interesse per ogni tipo di sport. Qualche volta la sua petulanza sfocia nella violenza: a Fraser è difficile piacere. Caitlin fa parte di un’allegra e selvaggia comitiva. Ha un ragazzo ma sembra sessualmente ambivalente; come un fiore bellissimo sbocciato un po’ in ritardo (assistiamo all’arrivo delle sue prime mestruazioni), sta iniziando a piacere molto ai ragazzi, cosa che provoca nel geloso fratello spaventose reazioni aggressive. Il suo rapporto quasi morboso con il padre non è chiaro, qualche volta indossa una maglietta larga e allentata, si lega i lunghi capelli, li nasconde sotto un berretto per fare in modo che le ragazze la scambino per un maschio. In We Are Who We Are, sensuale, coinvolgente e genialmente inerte serie tv diretta dal regista di Chiamami col tuo nome e del remake di Suspiria Luca Guadagnino, i due adolescenti sono pezzi intrecciati di un puzzle. Fanno amicizia nei mesi precedenti le elezioni presidenziali del 2016, quando la mamma di Fraser (Jack Dylan Grazer) Sarah (Chloë Sevigny) viene nominata comandante di una base dell’esercito americano in Italia, sulla costa veneta, sradicando dagli USA lui e sua moglie Maggie (Alice Braga), un medico dell’esercito.

Dopo aver sorpreso Caitlin (l’esordiente Jordan Kristine Seamón) travestita in un bar, accettando tranquillamente ciò che l’amato papà militare e filo trumpiano (Kid Cudi) non avrebbe accettato, Fraser le introduce il concetto di identità di genere non binaria. Lei lo aiuta a sentirsi meno solo in una terra straniera, e i due adolescenti inizieranno a dare reciprocamente senso alle loro vite. Lo show sviluppa personaggi e relazioni fino alla quasi eliminazione della trama, con i primi due episodi che descrivono l’arrivo di Fraser alla base militare dalla sua prospettiva, poi di nuovo da quella di Caitlin. Quando la storia finalmente inizia a muoversi, ciò che emerge non sono fatti veri e propri degni di nota, ma la sensazione che ogni personaggio ci riserverà delle sorprese. Sarah è dominante al lavoro e nel suo matrimonio, ma subisce gli attacchi violenti del figlio emotivamente disturbato. I personaggi sono più flessibili nelle loro identità di quanto sembri. Guadagnino si sofferma su binari confusi: etero e gay, bianco e nero, adolescenza ed età adulta, amore e odio. La base militare teatro degli eventi è essa stessa uno spazio liminale: un puntino americano minuscolo, quasi immaginario, sulla mappa d’Italia. L’atmosfera dell’estate in un’Italia lontana da quella del turismo mainstream è adorabile, e si concretizza in scene languide di gite in spiaggia, feste di strada che terminano con fuochi d’artificio, riunioni segrete che durano tutta la notte. Quando Caitlin, Fraser e i loro amici vengono travolti dall’estasi collettiva, le loro azioni sembrano sigillare la breve fusione di così tante coscienze diverse.

I riferimenti culturali, da Frank Ocean nella colonna sonora (dove però capeggia anche tanta musica anni 80) a una torta di pesche che rimanda alla scena di Chiamami col tuo nome, servono a uno scopo reale ed emotivo. Nel quarto episodio straordinario, ambientato quasi interamente in una di quelle infinite feste di adolescenti dalle quali i partecipanti usciranno sentendosi inspiegabilmente cambiati, in uno scontro tra un ombroso ragazzo di colore innamorato di Caitlin e un rivale viene fuori un verso di “Alright” di Kendrick Lamar (che a sua volta cita “The Color Purple” di Alice Walker): “Tutta la mia vita devo combattere”. Un carattere imperscrutabile diventa improvvisamente più leggibile.Tali momenti, quando il tempo si dilata e il mezzo audiovisivo raggiunge una vividezza quasi tattile, sono il marchio di fabbrica di Guadagnino. Eppure la sua sensibilità non si traduce completamente in TV, e a tratti si ha la sensazione che” We Are Who We Are non generi sufficiente slancio narrativo nei primi episodi per catturare gli spettatori settimanali. Del resto non sarà stato quello l’obiettivo di un regista professionista come Luca Guadagnino, il quale propone un prodotto al quale forse non tutti sono pronti, sia per contenuti che per forma.