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Watchmen

2019
REGIA:
Nicole Kassell, Stephen Williams, Steph Green, Andrij Parekh, David Semel
CAST:
Regina King (Angela Abar)
Don Johnson (Judd Crawford)
Tim Blake Nelson (Wade Tillman)

Il nostro giudizio

Watchmen è una serie tv del 2019, creata da  Damon Lindelof.

Al suo tempo, Zack Snyder ci si era scottato, come Icaro che osò avvicinarsi troppo al sole. Adattare un testo complesso come il graphic Novel Watchmen di Alan Moore e Dave Gibbons, probabilmente uno dei più ambiziosi progetti in forma di fumetto della letteratura americana, riproponendone non solo la rilettura ucronica della storia americana, forma camuffata di critica sociale all’attuale società americana, ma anche la revisione metalinguistica di quello che i supereroi, o presunti tali, potrebbero rappresentare nelle gerarchie umane sfociò in un film che, per quanto interessante dal punto di vista prettamente visivo, fallì. Alla luce di una da molti presunta impossibilità di trasporre in maniera soddisfacente la materia prima di Moore, si aspettava al varco l’arrivo dell’omonima miniserie prodotta dalla HBO. Dubbi alimentati dalla scelta dello showrunner, Damien Lindelof, etichettato a vita come uno dei responsabili della fragilità narrativa delle ultime stagioni di Lost e che ha sempre alternato picchi di scrittura seriale (Bates Motel, The leftovers) a discutibili sceneggiature per il grande schermo (Prometheus).

La chiave di volta che però viene scelta per Watchmen è interessante: piuttosto che adattare la graphic novel, Lindelof ne costruisce un ideale seguito, ambientato 39 anni dopo i fatti raccontati da Moore, accennati qui e là giusto per dare le giuste coordinate anche allo spettatore profano. Come nel graphic novel di Moore, anche qui la storia americana è leggermente rivisitata: nell’ucronia pensata da Lindelof il Vietnam fa parte della federazione degli Stati Uniti e Nixon ha passato le proprie legislature senza alcuno scandalo. Passate le tensioni tra Stati Uniti e Russia e dopo il bando ai danni dei supereroi, la pluridecennale reggenza del presidente Robert Redford sembra aver portato la pace. Le improvvise invasioni di gamberetti provenienti da altre dimensioni e la dormiente minaccia di un gruppo di terroristi razzisti, nostalgici del Ku Klux Klan, tengono comunque in tensione la popolazione americana. La polizia, a seguito di raid notturni ai danni delle proprie famiglie, è costretta a celarsi per motivi di sicurezza dietro maschere e costumi da supereroi, mentre l’unico dotato di superpoteri, il Dr. Manhattan, è in esilio volontario su Marte. Quando il capo della polizia locale viene trovato morto, lo spirito di vendetta delle forze dell’ordine e lo spirito anarchico e reazionario dei terroristi che si celano dietro una maschera di Rorschach accendono un conflitto civile dove è difficile stabilire quali siano i confini tra il bene e il male.

Pur nel formato di una miniserie, Watchmen riesce a dipanare una trama complessa, assolutamente originale eppure rispettosa della poetica di Moore, senza paura di toccare e approfondire temi scottanti e attualissimi nell’era Trump: il razzismo, la tolleranza e la violenza non sono convitati di pietra ma elementi vivi e visibili, perfettamente integrati all’interno di una narrazione fluida e piena, paradossalmente, di romanticismo crepuscolare (sia di esempio l’episodio “Un dio entra in un bar”). Pur intessendo un dialogo extratestuale con lo spettatore nerd, chiamato più volte a cogliere i sottili riferimenti alla graphic novel, Lindelof apre la voragine su personaggi dal forte impatto drammatico, raccontandone gli abissi dell’animo dall’alto delle proprie azioni e non, come la peggiore serialità televisiva ama fare, tramite monologhi inverosimili: i folli esperimenti per salvare il mondo di Ozymandias (un divertente e divertito Jeremy Irons), lo stress post-traumatico di Specchio, il dubbio lacerante, su quale sia la parte giusta, di Sorella Notte, costretta ad affrontare non solo le proprie origini, ma anche la scottante verità sul proprio mentore. Lindelof racconta i drammi interiori attraverso esperimenti narrativi arditi, dove i piani temporali (così come in Lost) si alternano e si sovrappongono con grande abilità, diventando una sorta di tempo del subconscio (come in The Leftovers) e, di conseguenza, trasformando un racconto di supereroi in una seduta dallo psicologo. E quello che si vede del racconto interiore del Dr. Manhattan è uno zenith di scrittura non solo della serie, ma della serialità americana in generale.