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Voci notturne

1995
Titolo Originale:
Voci Notturne
REGIA:
Fabrizio Laurenti
CAST:
Massimo Bonetti (Carlo Morlisi)
Lorenzo Flaherty (Stefano Baldi)
Carolina Rosi (Silvia)

Il nostro giudizio

Pupi Avati non è solo il regista della Casa dalle finestre che ridono, il teorico del “Gotico padano” o l’umile (con riguardo al tono) cantore di mondi psicologici fragili come il cristallo. Questo è ciò che si crede e si divulga. Ma Avati conosce bene, anzi benissimo, altre cose: i segreti astrologici di alfridaria e afereto. Il synthema, che Clemente Alessandrino citava in rapporto ai Misteri Eleusini, e l’egregoro. Ha letto, Avati, le opere di Giovanni Lido, Nigidio Figulo, Tagete e l’ Ars divinatoria. Né gli sono ignote botanica, gastronomia e musicologia antica, con i suoi ritmi dorico, frigio e lidio, la geografia sacra e le dottrine sulle metempsicosi. Ha studiato con profitto Fulcanelli e il Festugère. Si è chinato a lungo sulle testimonianze tramandate circa Lemuria e Parentalia, le festività del Mundus patens, il tempo dell’anno propizio alla comunicazione tra i vivi e i morti, e sui rituali dei Pontifices, i “costruttori del ponte”, il ligneo e mistico Sublicius. Questo corpus sapienziale, Pupi Avati lo trasfuse in uno sceneggiato trasmesso nel lontano 1995 (dal 24 settembre) su Raiuno. Si intitolava Voci notturne e fu, senza meno, l’operazione di fiction più colta e complessa che la televisione italiana avesse (e avrebbe) mai prodotto. Un viluppo inestricabile di fascino, ricercatezza e crudeltà, fortemente ansiogena, con una “morale” che ghiacciò i pochissimi spettatori che possedevano i mezzi intellettuali per afferrarla. La “massa amorfa” invece, mollò, con il risultato di un “bagno di sangue” quanto ad ascolti, tant’è che si anticipò a sorpresa l’ultima delle cinque puntate, mandandola in onda, subito dopo la quarta, nella stessa serata, quasi a mezzanotte.

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«Dove finisce la ragione, comincia un territorio che non ci appartiene, nel quale siamo intrusi. Una terra che ha regole che non conosciamo dove si parla una lingua misteriosa e dove le nostre logiche non sono utilizzabili…».

Se non fosse per via dei semi di silfio – una pianta estinta da secoli e utilizzata nell’antichità come narcotico – che l’autopsia ha rinvenuto nel suo stomaco; e se le corde strette a mani e piedi non risultassero spalmate di un’altrettanto misteriosa salsa a base di pesce putrefatto, il garum, con cui i latini insaporivano i propri cibi, il rinvenimento sul greto del Tevere del cadavere del ventenne Giacomo Fiorenza, semi-divorato dai ratti, avrebbe tutti i crismi di una vendetta trasversale contro suo padre (Cesare Barbetti), inquisito in una sorta di Tangentopoli e custode di segreti politici tremendi. Questi non irrilevanti dettagli, insieme al manifestarsi post-mortem della voce di Giacomo, attraverso alcune telefonate ai famigliari, provenienti dall’America, in cui egli ripete di essere vivo, innescano lo straordinario dedalo mistery in cui si infila Voci notturne, uno sceneggiato in cinque puntate, trasmesso dalla Rai nel 1995, diretto da Fabrizio Laurenti ma debitore del proprio fascino arcano a una storia ideata e scritta da Pupi Avati. Intuire che dietro la sciarada covi e sogghigni il demone avatiano migliore, non è difficile, visto come il viraggio degli eventi, perdendo in fretta le tonalità confortevoli di una comune indagine poliziesca – linea lungo la quale si muovono, a vuoto, gli sforzi del commissario Morlisi (Massimo Bonetti) e degli inquirenti ufficiali -, comincia a screziarsi di quei colori, esoterici ma più precisamente ermetico-alchemici, già presenti nello spettro di Zeder e dell’Arcano incantatore. Persino il modo in cui le le fauci del sovrannaturale si spalancano, appare il medesimo di Zeder, dove la ricerca di una verità misteriosofica aveva come primo motore sia erudite curiosità classiche – l’ubicazione e le sconvolgenti proprietà dei luoghi sui quali gli antichi erigevano gli oracoli dei morti -, sia le teorie di cui certi testi dell’ermetismo francese di fine Ottocento si erano fatti portavoce.

Screenshot 2024-04-25 114847In Voci notturne, non diversamente, un enigma archeologico allunga le sue ombre sulla storia: quel che di sacro e di demonico celava un ponte della Roma più arcaica, oggi scomparso, il Pons Sublicius, dalle strutture interamente lignee, edificato senza uso di chiodi, e sede – secondo le fonti classiche – di riti sacrificali umani, detti “degli Argei”. Il Sublicius scopriamo essere stato, in più di un modo, connesso alla morte – almeno quella fisica – di Giacomo Fiorenza, che, insieme all’amico Stefano Baldi (Lorenzo Flaherty), sul monumento arcaico stava conducendo una ricerca universitaria, dopo il ritrovamento dei materiali serviti per una vecchia tesi di laurea. Accade, però, che nella tomba Giacomo abbia portato con sé la preziosa parola d’accesso a un computer, dentro al quale, tra il fiume di notizie raccolte intorno al Sublicius, è certo si trovi anche il perché Giacomo sia stato ucciso. Labilissimo, l’unico filo che Stefano e la sua ragazza, Silvia (Carolina Rosi), possono seguire, per venire a capo di qualcosa – mentre le telefonate di Giacomo, ancora non si capisce se dall’aldiqua o dall’aldilà, continuano – lo dipanano i ricordi di una vecchia minata dal cancro, Elena Valover (Claudia Lawrence), inquilina dello stesso palazzo sul Lungotevere Ripa dove per qualche tempo aveva soggiornato l’inafferabile fidanzata americana di Giacomo, Emily Cohen, e dove, nella prima metà dello scorso secolo, era solito portarsi in visita un individuo sinistro e affascinante, classicista e profondo conoscitore delle arti esoteriche, Norberto Sinisgalli. Proprio colui, incappando nei cui appunti sulla arcana storia del Sublicius, Giacomo e Stefano si erano lanciati a  capofitto nella ricerca. Avati plasma i tratti di quest’uomo misterioso (che intravvediamo soltanto, da giovane, in fotografia e, da vecchio, in un’unica scena, riconoscibile dal criptico segno di una spiga di grano infilata nell’asola della giacca) su quelli di una figura reale e al contempo fantasmatica. Sinisgalli, a cominciare dal cognome, cela infatti Fulcanelli, il “Fuoco o Vulcano del sole”, ovvero Jules Violle, fisico e alchimista francese il cui pensiero e i cui insegnamenti sono affidati a due celebri trattati: Il mistero delle cattedrali e Le dimore filosofali.

voci-notturne-5In questa trasfigurazione, l’identità cucita addosso a Sinisgalli – come si apprende a segmenti, avanzando tra le ombre con Lorenzo Flaherty e con altri personaggi collaterali: uno, molto ben delineato, è il nipote del commissario Morlisi, Andrea (Andrea Scorzoni), studente di musicologia che decritta delle strane partiture, legate al rituale degli Argei, appartenute a Sinisgalli, e per questo morirà con la sua ragazza (Stefania Rocca) – è quella di un occultista dotato del potere di ricordare le proprie vite passate, spintosi talmente addentro allo studio dei rituali legati al Sublicius, da riuscire a conquistare, giungendo “all’altro capo del ponte”, il dominio della materia e del tempo. Forse anche della Morte stessa. La spirale dell’arcano si avvita, nel frattempo, da Roma fino in St. Louis, negli Stati Uniti, dove un detective, Mario Fedrigo (Jason Robards III), che per conto del nostro consolato dovrebbe rintracciare Emily Cohen, sbatte suo malgrado e finisce inghiottito, prima contro Mary Sellers – una squillo, in apparenza – e poi nelle sabbie mobili di una confraternita pseudoreligiosa: la Società Teosofica per il Ritorno dello Spirito Originario, composta da adepti ai quali vien fatto credere di poter scampare, con una specie di morte iniziatica, l’ultimo baratro: un’associazione a delinquere, oggi, di truffatori e venditori di fumo, ma alle cui radici si occultava un gotha internazionale di individui che avevano elevato se stessi alla massima potenza nel regno dell’occulto. Primo tra i quali, il Sinisgalli…

1698391255485_2048x1152Avati tira i fili del tutto – anche se non in modo semplice – con una soluzione sovrannaturale, che funziona però anche come nota idillico-intimista nel pentagramma cupissimo dello sceneggiato: scoperti certi segreti di Sinisgalli, il quale si macchiò di crimini orribili contro gli ebrei durante la guerra e che oggi, a quanto pare, è personalità politica di spicco in Italia, Giacomo venne  tolto di mezzo; ma una parte della sua essenza, il suo egregoro, prima di venire drogato e ucciso, è riuscito a  “nascondersi” nella mente di un ragazzo. E, per suo tramite, invia ora al mondo dei vivi – come telefonica e labile “voce notturna” – il disperato appello di chi, senza essere completamente morto, non potrà mai tornare ad esistere… «Dove finisce la ragione, comincia un territorio che non ci appartiene, nel quale siamo intrusi. Una terra che ha regole che non conosciamo, dove si parla una lingua misteriosa e dove le nostre logiche non sono utilizzabili in alcun modo. Noi in questo territorio possiamo solo subire un mistero, che anziché disvelarsi si fa sempre più impenetrabile. Io non so dire se questo è una pena o un premio, io non so dire nulla: ma so che questo luogo dove sono non può essere in alcun modo cercato né in alcun modo trovato…».

https://www.raiplay.it/video/2023/10/Voci-notturne-dietro-le-quinte-055cb885-5227-4a1b-a18a-65f98d47b41b.html

Sebbene dopo quella prima emissione del 1995, Voci notturne fosse piombato in un limbo, invisibile e ignoto, ad accumulare la polvere degli anni negli archivi Rai e in quelli, ugualmente, della DueA degli Avati che lo avevano coprodotto, qualcosa lo aveva comunque smosso, nelle profondità di taluni ambienti. Ciò emerse, tuttavia, soltanto a partire dal 2013, allorché lo sceneggiato cominciò a essere riproposto da Rai Premium. Chi lo vedeva per la prima volta, nulla poteva notare di strano o difforme rispetto al montaggio originale, ma i rari fans che a Voci notturne avevano avevano iniziato a tributare quel culto che gli è dovuto, per averlo non solo apprezzato diciotto anni prima, ma anche registrato e conservato, notarono subito che nella riedizione erano state apportate delle modifiche. Che colpivano, sensibilmente, quasi tutti i riferimenti espliciti alla Società Teosofica per il Ritorno dello Spirito Originario, scomparsi nel corso della detection americana di Fedrigo e altrove nella vicenda. Si vociferava, ma in modo fosco, di “censure”, richieste dalla Società Teosofica Italiana, lamentando che il nome (seppur fittizio) della congrega che appariva nello sceneggiato, come nucleo di macchinamenti sinistri, potesse prestarsi all’equivoco con l’organismo ufficiale della Società che si richiama agli insegnamenti filosofici e spirituali di Madame Blavatsky.

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Fu così che, per tagliare la testa al toro, il sottoscritto, il 21 agosto del 2015 (ante diem duodecimum Kalendas Septembres, giorno dei Consualia, in onore del dio del raccolto Consus, durante i quali si consumò il Ratto delle Sabine) inviò un messaggio di posta elettronica all’indirizzo della Società Teosofica Italiana. Tale era il testo: “Vi disturbo per avere delucidazioni su qualcosa che probabilmente vi riguarda. Esiste un vecchio sceneggiato Rai degli anni Novanta, dal titolo Voci notturne, che, recentemente ritrasmesso da Rai Premium, mostra diverse evidenti censure relative al nome di una fantomatica Società Teosofica per il Ritorno dello Spirito Originario. È possibile sapere se questo sia dipeso da una vostra richiesta effettuata alla Rai in tal senso? […]”. A strettissimo giro di mail, ricevetti la risposta al quesito. A scrivermi era Antonio Girardi, segretario generale della Società Teosofica Italiana: “[…] Non ero a conoscenza della riproposizione dello sceneggiato Voci notturne scritto da Pupi Avati. Le modifiche (che non sono censure!) sono state chieste, ancora negli Anni Novanta, proprio dal nostro Ente Morale il cui nome – seppur con diversa articolazione – era associato, del tutto inopportunamente, a quello di una setta delinquenziale. Non fu difficile dialogare in proposito, né con la Rai né con Pupi Avati. La Società Teosofica ha avuto ed ha, specie negli USA e in India, dialoghi molto positivi con il mondo del cinema! […]”. Voci notturne, attualmente, è presente nel catalogo di RaiPlay in tale versione riarrangiata.