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Voces

2020
Titolo Originale:
Voces
REGIA:
Ángel Gómez Hernández
CAST:
Rodolfo Sancho (Daniel)
Ana Fernández (Rith)
Ramón Barea (Gérman)

Il nostro giudizio

Voces è un film del 2020, diretto da Ángel Gómez Hernández.

Qualcosa decisamente non funziona se, ancora oggi, ci permettiamo di dubitare di un bambinetto che afferma di sentire delle voci. D’altronde già a suo tempo il giovane Harley Joel Hosmet faticava non poco a convincere chiunque di poter vedere la gente morta grazie al suo proverbiale Sesto senso. E anche il piccolo Eric (Lucas Blas) pare avere il suo gran daffare quando, in un film che ha per eloquentissimo titolo proprio Voces, nessuno ma proprio nessuno pare dar credito ai misteriosi sussurri che assillano le sue orecchie. Tuttavia bastano poco meno di un cinque minuti per capire che il nostro impaurito frugoletto è tutt’altro che psicopatico e che le presunte vocine che giura di udire hanno un potere ben superiore a quello di un fastidioso acufene. Basta infatti un’innocua moschina, infrattatatasi nel canale uditivo di una scettica assistente sociale in odore di incidente stradale, a mettere ben in chiaro le cose, rendendo l’incipit di questo horror made in Spain  quantomeno degno di considerazione. Tuttavia, mano a mano che il filo narrativo di Voces si dipana, ecco venire a galla uno stantio sapore di già visto e sentito, con la solita aitante coppietta (Rodolfo Sancho e Ana Fernàndez) intenta a ristrutturare l’ennesima casa destinata ad essere rivenduta per finanziare un acquisto immobiliare e, dunque, un ennesimo trasloco. Non saranno forse questi continui spostamenti a destabilizzare il già fragile equilibrio emotivo del timido Eric? Stando al manuale di psicologia base parrebbe proprio di si.

O forse centrano piuttosto i nugoli di schifosissime mosche che continuano a fuoriuscire da ogni anfratto della malmessa magione? Forse… sta di fatto che, quando il piccoletto, dopo aver più volte lamentato di sentire i metafisici sussurri, viene ritrovato annegato nelle torbide acque della piscina, al distrutto Daniel non resta che indagare sul misterioso accadimento, convincendosi a tal punto di aver intercettato la voce del figlio defunto da tirare in ballo persino un fantomatico esperto di psicofonia (Ramòn Barea), l’unico in grado di valutare la reale natura di queste registrazioni sovrannaturali. Ma, forse, la verità autentica non proviene tanto dall’Aldilà, quanto piuttosto dalle viscere della casa stessa, dove pare essere custodito un segreto celato da millenni e ora pronto più che mai a tornare a vivere, alla faccia dei nuovi importuni inquilini. Che l’originalità non fosse proprio il marchio distintivo della filosofia distributiva di mamma Netflix lo si era già abbondantemente capito da tempo. Tuttavia, ogni qual volta un prodottino loffio e pesantemente derivativo come Voces viene rilasciato, non ci si può esimere dall’emettere l’ennesimo sospiro di delusione, generato più che altro dal vedersi propinata l’ennesima minestra riscaldata nella quale un pizzico di EVP e qualche gocciolina di Echi mortali vengono amalgamati assieme per dar vita a un qualcosa di ben confezionato ma drammaticamente insipido.

Se infatti la natura sovrannaturale dell’intera baracca viene data per assodata già dopo il terzo fotogramma, col procedere del minutaggio iniziano ad accavallarsi le ormai rodate strategie del brivido a buon mercato, con il solito fantasma ammuffito figlio de La Madre muschettiana che inizia a far capolino da ogni cubicolo, senza ovviamente osare nulla più di qualche comparsata a tradimento a rischio zero. Segue l’arcinota spola fra incredulità e fede ceca nel sovrannaturale, quest’ultimo amministrato da un attempatissimo Gosthbuster armato di tutto punto con la solita profusione di videocamere termiche e registratori ultrasensibili ovviamente in grado di captare le immancabili minacce dell’Altrove, sempre sussurrate ma inspiegabilmente nitide come un vinile di Eric Clepton. Con l’approssimarsi del finale – unica vera nota di merito in tutta questa valle di lacrime e sangue – si tenta pure il colpo gobbo, con una brusca virata narrativa dai territori di Casper a quelli di Maga Magò, resuscitato il sempreverde spauracchio dell’Inquisizione e toccando involontariamente vette da B-movie anni ’80, in un maldestro tentativo di ridare verve a un corpo filmico già deceduto sul tavolo operatorio ben prima dello scoccar dell’ora. Un esordio tutt’altro che memorabile quello di Ángel Gómez Hernández, al quale auguriamo di lasciare da parte gli scarti e di cogliere per il futuro solo frutti freschi e ben maturi, senza fretta e senza ansia.