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Viral

2016
Titolo Originale:
Viral
REGIA:
Henry Joost, Ariel Schulman
CAST:
Analeigh Tipton (Stacey)
Sofia Black D'Elia (Emma)
Travis Tope (Evan Klein)

Il nostro giudizio

Viral è un film del 2016, diretto da Henry Joost e Ariel Schulman

In principio, Viral si intitolava Peste, come quella di Atene che cantò Tucidide. Era la storia di una ragazzina traumatizzata per faccende familiari, che cominciava a raccontare la propria vita in un filmino fatto come compito per la scuola. Poi, però, alle riprese si intrecciava l’esplosione di una pandemia, per cui la cronaca di una vita diventava la cronaca della fine del mondo. Forse non del globo in assoluto, ma certamente del paesino del Texas dove si svolgeva la vicenda. Era nella black list del 2012 e in origine la doveva interpretare Abigail Breslin, per la regia di Mark Tonderai. Ma così non se ne fece nulla. A un certo punto, lo script arriva nelle mani di Re Mida Jason Blum, verso il 2014. Il quale intravede la possibilità di un POV zombesco, che al suo carnet di sottogeneri dell’horror ancora manca. Pronti via: chiama i due tizi che nella sua factory sono i più rodati nel mockumentary, Henry Joost e Ariel Schulman, gli artefici di Paranormal Activity 3 e 4 – quest’ultimo un vero diamante, il più spaventoso e anche il più sottilmente perverso di tutto il ciclo, grazie alla quindicenne Kathryn Newton, che turba e inquieta ben più di quanto possano fare tutte le congreghe stregonesche di questo e dell’altro mondo.

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Poi, però, succede qualcosa. Si passa dal POV originale, scritto da Barbara Marshall, a una ulteriore sceneggiatura, opera di Christopher Landon (Paranormal Activity 3), dove non c’è più traccia di cinema soggettivo e la protagonista si sdoppia nel personaggio di una sorella maggiore: Emma e Stacey, figlie di Michael Kelly (lo stronzo Doug Stamper di House of Cards), la prima casta e posata la seconda ribelle e scopatrice, che si trovano sparate nel bel mezzo di una pandemia propagata da schifosissimi parassiti vermiformi, che fanno venire in mente piuttosto I carnivori venuti dalla Savana che gli organismi cazziformi di Il demone sotto la pelle. Queste bestie schifose fanno il nido dentro la nuca della gente e pian piano la trasformano in simil-zombi. Il dramma è che Stacey viene infettata e per questo rinchiusa in uno sgabuzzino con la porta inchiodata. Fuori la situazione precipita: esercito in strada e rastrellamenti nazisti. Dentro, con un anonimo fidanzatino, Emma che si batte per tentare di salvare la sorella. Come? Operandola e strappandole dal collo il tremendo serpentello. È la parte più cool del film. La ragazzina sa come farlo, perché ha visto a scuola una lezione di  biologia dove suo padre insegnava come estrarre i parassiti dalla carne in cui si sono scavati la tana.

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L’arcano maggiore di Viral sta nel personaggio di Stacey – che equivaleva alla Emma del primo draft della sceneggiatura -, per interpretare il quale sono andati, Blum o chi per lui, a scegliere Analeigh Tipton, fotomodella di Minneapolis (classe 1988) – quindi ventottenne che due anni fa fingeva di fare una ventiduenne e ci riusciva benissimo –, che nel cinema compì il balzo significativo nel 2011 grazie a Crazy, Stupid Love, dopo il quale sono venuti Warm Bodies e via via tante altre cose, fino all’apoteosi che è giunta lo scorso anno con un film ancora ignoto a tutti tranne che a noi, un magnifico lesbo-metafisico dal titolo Sadie. La Tipton ha l’allure delle Scream Queen di un tempo: oltre alla figaggine c’è di più e quel di più ti arriva e si insinua come il vermetto che ha fatto del collo dell’americana la propria casa. La minore Emma è Sofia Black D’Elia, una bellezza assai più facile che infatti procede, come background artistico, dalle soap-operas tipo La valle dei pini. In sintesi, Viral va visto per tutto quello che ha di diverso dal genere epidemico nel cui alveo idealmente ma non fattivamente si colloca. Va visto per la Tipton, va visto per la parte centrale in cui si può ancora sperare che l’infezione sia estirpabile dal corpo della vittima e va visto perché c’è un bel fondo tragico in questo filmetto della Blumhouse che ce lo fa amare insieme alla sua potente protagonista.