Featured Image

Unwelcome

2023
REGIA:
Jon Wright
CAST:
Hannah John-Kamen (Maya)
Douglas Booth (Jamie)
Jamie-Lee O'Donnell (Aisling)

Il nostro giudizio

Unwelcome è un film del 2023, diretto da Jon Wright.

C’è chi, nonostante l’età, ancora crede ciecamente in Babbo Natale, nell’Uomo Falena, nel Bigfoot e, manco a dirlo, nell’immancabile mostracchione di Lochness. Ma agli elfi chi ci pensa più? Beh, da tosto nord irlandese con tutti i sacri e alcolici crismi, stavolta è toccato al buon Jon Wright raccogliere la tutt’altro che florida eredità del fu Leprechaun, tentando di risvegliare dal torpore il dispettoso Piccolo Popolo per dare linfa a un sottogenere che rigoglioso non lo è forse mai stato. Ed è appunto seguendo le orme già tracciate qualche anno fa dal conterraneo Corin Hardy con il suo cupissimo The Hallow che questo promettente filmico seguace di San Patrizio ha scelto di dar vita, con tanto amore e nessuna pretesa, a questo suo irriverente Unwelcome, confezionando una curiosa dark tale che, pur occhieggiando alle torbide atmosfere da folk horror del seminale Non avere paura del buio, dimostra di guardare con gran simpatia a modelli decisamente più scanzonati ma altrettanto viscerali sulla falsa riga del cultissimo Non aprite quel cancello. Si perché, contrariamente a quanto leggende e dicerie pretendono di insegnarci, molto spesso, alla fine del beneamato arcobaleno, più che una pentola piena d’oro c’è il rischio d’incontrare parecchio sangue e qualche testa tagliata di fresco.

Il primo sacro comandamento di una qual si voglia sceneggiatura insegna che senza conflitto non c’è azione, ergo, senza azione non c’è storia. E poiché tutto si può dire di Wright e del compagno di Guinnes Mark Stay tranne che non siano dei discreti sceneggiatori, Unwelcome inizia proprio da un conflitto bello grosso, ovvero da una tremenda aggressione domestica che costringe il mite Jamie (Douglas Botth) e la sua amata neo puerpera compagna Maya (Hanna John-Kamen) ad abbandonare la malfamata Londra per prendere possesso di una ridente tenuta nella campagna irlandese, a seguito dell’improvvisa morte della misantropa zietta. Accolti con quell’immancabile misto di cordialità campagnola e buzzurra diffidenza tipica dei villaggetti di ogni terraqueo cantone, i nostri futuri genitori faranno la conoscenza, oltre che dell’equivoca famigliola capitanata dal viscido Papà Whelan (Colm Meaney), anche della premurosa Maeve (Niamh Cusack), amica di vecchia data della defunta zia che non mancherà di mettere in guarda la giovane coppia dall’adempiere ad un unico fondamentale compito: lasciare ogni sera, d’innanzi ad un misterioso muro di cinta, una piccola offerta di sangue destinata a tenere buone le creature che abitano i boschi del circondario. Una sciocca superstizione che, tuttavia, si rivelerà presto qualcosa di ben più concreto di una semplice chiacchiera da pub, soprattutto quando i tutt’altro che benevoli protagonisti oversize di tale favoletta diverranno a sorpresa gli unici veri alleati contro un manipolo di pericolosi redneck in giacchetta di Tweed assetati di Whisky e vendetta.

Se per caso provate a chiedere direttamente al buon Wright, lui senz’altro vi dirà che il modo migliore per descrivere Unwelcome ad un profano è provare a pensare – senza troppa serietà ovviamente – a una sorta di incesto fra Gremlins e Cane di paglia. E va da sé che, con tali premesse, le strade da percorrere non avrebbero potuto che essere due: o mandare bellamente tutto in vacca seguendo l’allettante profumino del trash proveniente da robetta come Ghoulies, Hobgoblin e Muchies, oppure, calmando a dovere ogni bollentissimo spiritello dei boschi, rimanere nei terreni ben più oscuri e seriosi, che so, di un Leprechaun: Origins, salvando capra, cavoli e pure la faccia. Ma poiché il caro Joe, da cinematografico militante dell’IRA, di mezze misure non ne vuole sentir parlare nemmeno per sbaglio, ha dunque scelto di dare un colpo al cerchio e uno alla botte di birra scura, concedendosi un’intera oretta abbondante immersa in un ombroso e viscerale mood da tipica fiaba nera targata Grimm Brothers, per poi portare bruscamente in folle ogni residua sospensione dell’incredulità nel corso dell’ultima mezz’oretta, svelando quell’arcano fino ad allora solo fuggevolmente suggerito senza alcun timore di apparire sfacciato come il suo delirante e sanguigno finale. Un epilogo in cui tanto i letali esserini coprotagonisti quanto lo stesso ruolo della maternità vengono pericolosamente spogliati di ogni rimasuglio di autentica credibilità. Niente per cui valga la pena di strapparsi i capelli, sia ben chiaro. Anche perché, a ben vedere, a strappare arti e budella qui c’è già chi ci pensa.