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Tromperie – Inganno

2021
Titolo Originale:
Tromperie
REGIA:
Arnaud Desplechin
CAST:
Denis Podalydès (Philip)
Léa Seydoux (L’amante inglese)
Emmanuelle Devos (Rosalie)

Il nostro giudizio

Tromperie – Inganno è un film del 2021, diretto da Arnaud Desplechin.

Stando a quanto dicono gli esegeti di Philip Roth, Tromperie – Inganno del francese Arnaud Desplechin è finora la migliore trasposizione cinematografica del celebre scrittore americano, l’autore dei più celebri American Pastoral e Il complotto contro l’America. Ed è anche il suo primo adattamento cinematografico che non viene dagli States, ma dalla Francia, ad opera di un autore dallo stile raffinato e personale, quel Desplechin che vedremo al prossimo Festival di Cannes con il film Frère et Soeur, ma che partecipò alla Croisette già l’anno scorso con Tromperie, tratto dal romanzo di Roth Deception (Inganno). Desplechin si era reso noto alla critica con film quali I fantasmi d’Ismael e il noir Roubaix, una luce, e nella sua nuova opera si confronta egregiamente con un universo narrativo per certi versi distante dalla sensibilità francese, ma che il regista riesce a fare pienamente suo, grazie a una regia elegantissima e a interpreti in stato di grazia. Lo stesso Desplechin sceneggia il film insieme a Julie Peyr, e l’intricata vicenda, ambientata nel 1987, ruota attorno a Philip (Denis Podalydès), uno scrittore americano trasferitosi a Londra. Qua, intrattiene rapporti sentimentali e sessuali con un’anonima amante inglese (Léa Seydoux), alle prese con un matrimonio in crisi. Durante il racconto, come in un flusso di coscienza, vediamo lo scrittore in dialoghi con varie amanti – un’esule cecoslovacca, un’americana malata terminale, una studentessa affetta da disturbi psichici – ma anche con un marito geloso e con il padre. Philip porta avanti la relazione con la donna inglese, fra lunghi dialoghi e giochi di seduzione: ma si tratta di una persona realmente esistente o è solo un parto della sua mente creativa?

Quella di Tromperie è una trama evanescente, impalpabile – eppure così intrisa di sentimento ed erotismo mentale e fisico – dunque difficile da raccontare, poiché l’intera narrazione è costruita come uno stream of consciousness che si muove continuamente nel tempo e nello spazio, filtrata sempre dal punto di vista del protagonista. E la chiave di tutto ciò che vediamo risiede proprio nella “tromperie” del titolo, quell’inganno che ci porta – come scopriamo nel pre-finale incentrato sul dialogo tra Philip e la moglie – a dubitare che tutto ciò che vediamo sia soltanto una sua creazione narrativa, compreso il processo che lo vede imputato per misoginia. Ma prima di arrivare alla conclusione – niente affatto catartica o risolutoria, con la Seydoux che sembra di nuovo una presenza concreta – la raffinatissima regia (dove si sente la mano francese) ci guida per mano alla scoperta di un universo onirico, erotico e psicologico che avvolge lo spettatore attraverso lunghi dialoghi e scene di impostazione teatrale ricche di intensi primi piani. Non siamo lontani dagli psicodrammi di Roman Polanski come Venere in pelliccia e Quello che non so di lei, e il racconto di Philip sulle sue avventure sentimentali può per certi versi assomigliare a un Woody Allen in acido, drammatizzato e depurato da ogni componente ironica. Quello di Desplechin è un erotismo soprattutto mentale, un’eccitazione intellettuale e sofisticata, lontana dalla carnalità di un Leos Carax o di un Kechiche (giusto per citare due registi francesi sugli scudi in questi anni). Qua l’erotismo è più suggerito che mostrato, eppure Tromperie trasuda di desiderio sessuale: la Seydoux si mostra in primo piano a seno nudo, la regia si concede uno sguardo quasi voyeuristico sui corpi nudi e avvinghiati della protagonista insieme a Podalydès, oltre a baci famelici e voluttuosi, e a inquadrature feticistiche dei piedi con i quali la Seydoux avvolge il collo dell’amante.

I dialoghi vertono sui discorsi più disparati, evolvendosi dall’uno nell’altro senza soluzione di continuità: Philip e la ragazza inglese parlano di amore e sesso, delle rispettive crisi coniugali, della sua attività di scrittore, discutono di politica, di semitismo e anti-semitismo (l’uomo ha una vasta collezione di libri in proposito), fanno giochi ponendosi domande a vicenda, fino a parlare della struttura del pene e di come lei lo preferisce. Il flusso narrativo si snoda attraverso vari capitoli, inserendo senza una precisa logica temporale i rapporti di Philip con altri personaggi femminili, fra i quali spicca Emmanuelle Devos nei panni di Rosalie, la donna malata di cancro protagonista di scene commoventi nell’ospedale. Ma il film è dominato dalla Seydoux – non solo Bond-girl, bensì in scena con alcuni fra i più importanti registi contemporanei – così bella, misteriosa e affascinante, alla quale fa da contraltare l’altrettanto robusto Podalydès (forse un alter-ego di Roth?), meno bello ma altrettanto affascinante per il suo mestiere di scrittore. Mentre la regia inquadra persone e oggetti con uno sguardo quasi feticistico e con una fotografia calda, risuona in sottofondo una delicata musica da camera con archi e pianoforte, a sostegno di un’estetica ricercatissima che si concede anche split-screen e inquadrature in dissolvenza, con uno spleen baudelairiano narrativo da moderno Ultimo tango a Parigi.