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Troll Inc.

2017
Titolo Originale:
Troll Inc.
REGIA:
George Russell
CAST:
Andrew 'weev' Auernheimer (se stesso)
Gabriella Coleman (se stessa)

Il nostro giudizio

Troll Inc. è un film del 2017, diretto da George Russell.

Andrew “weev” Auernheimer sta al mondo dell’hacking e del trolling tanto quanto George Russell a quello del documentario d’inchiesta underground. Personaggetto parecchio inquietante e controverso  il primo – un diabolico nerd a metà strada fra la versione spinta di Edward Snowden e un naziskin dalla morale alquanto equivoca, passato alla storia recente come uno dei più spietati esponenti della contro-cybercultura –, cineasta coraggioso e rigoroso il secondo, già con le mani in pasta nelle scomode verità socio-culturali 3.0 grazie all’ottima inchiesta sul degrado scolastico della periferia americana condotta con Teaching and Learning in Compton (2008). Un provvidenziale e più che mai gradito incontro avvenuto grazie a Troll Inc., lucida e al contempo ironica cronaca filmata di una delle schegge più spesse e taglienti conficcatesi nei grassi deretani politici e istituzionali della società contemporanea, un’onesta e attenta documentazione capace di scandagliare e vivisezionare fin nei più minuti aspetti le gesta e la personalità carismatica di colui che è stato capace come pochi di far tremare parecchi polsi ai piani altri. Un tipo che si ama odiare, insomma, un tipico esempio di mother fucker di tutto punto. Partendo dalla rievocazione della fondazione dell’ormai arcinoto collettivo di hacker “Goatse Security” – confluito poi nella ben più inquietante “Gay Nigger Association of America” – e giungendo fino agli arditi attacchi informatici ai danni di Amazon nel 2009 (con la ricollocazione di numerosi libri a tematica omossessuale nella categoria “pornografia”)  e AT&T (dove furono rubati e pubblicati gli account personali conservati in migliaia di iPad), Russel mette in scena un autentico tet-à-tet filmato con quel bricconcello di Auernheimer.

E lo fa alternando i segmenti della confessione in prima persona dell’interessato con un ricco e variegato campionario di materiali provenienti da servizi telegiornalistici e colloqui con terzi, direttamente o indirettamente coinvolti nei fatti (ri)narrati, concedendosi succose digressioni riguardanti le simpatie (e antipatie) politico-xenofobe del Nostro e dettagliando fino allo spasmo le numerose cause legali avviate a suo carico. Si giunge infine alla nota indagine avviata dall’FBI a seguito di alcuni succosi articoli firmati dal New York Times e da Gawker riguardanti lo sbudargiamento dell’ex candidata alla vicepresidenza repubblicana Sarah Palin, le cui e-mail personali vennero per l’appunto illegalmente carpite da Weev e pubblicate durante campagna del 2008, piantando un bel po’ di casini nell’entourage del buon John McCain. Da tutto ciò ne vien fuori una sostanziosa ratatuille audiovisiva che ricorda molto da vicino il flusso di coscienza del Blob chiambrettiano, laddove il montaggio allucinato e il ritmo indiavolato danno vita a un’esperienza scioccante tanto per l’iride quanto per il cerebro. Al trono o al rogo? Il medesimo dilemma di etico-visione che già attanagliava a suo tempo l’incauto spettatore dello Scarface depalmiano e del Padrino coppoliano viene qui integralmente rimpallato al giovane fruitore di Troll Inc., posto dinnanzi a un racconto nel quale le immagini, spesse volte, finiscono per risultare decisamente equivoche, fintanto da essere contraddette dalle stesse parole di coloro che sono chiamati a commentarle.

Nessun giudizio morale in Troll Inc., ma la pura e cristallina esposizione di fatti in funzione di una valutazione che solo lo spettatore attento e ricettivo è inviato a compiere. Che Auernheimer sia inequivocabilmente un autentico son of bitch pare cosa abbastanza evidente – come già ben traspariva dall’altra celebre docu-inchiesta The Hacker War (2014) di cui era protagonista medesimo –, ma ciò che lo scaltro Russell tenta subdolamente di fare è di guidare l’indifeso avventuriero verso un’ossimorica empatia con colui che è riuscito a portare l’ultranazionalismo bianco e la frode informatica a livelli francamente impensabili anche per il più assiduo fedele di Mr. Robot, riuscendo persino brillantemente a superare i fisiologici limiti del consueto didascalismo documentario a favore di una narrazione che, se fosse stata un film, certamente avrebbe guadagnato cento punti in più, magari con un Danny Boyle o un Oliver Stone in cabina di regia. Mai dire mai comunque: se anche gente come Tommy Wiseau e Molly Bloom hanno avuto il proprio biopic, certo uno come Auernheimer potrebbe tranquillamente mettersi in fila, senza il minimo rischio o paura di sfigurare. Tempo al tempo!