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Tornare

2019
REGIA:
Cristina Comencini
CAST:
Giovanna Mezzogiorno (Alice McNellis)
Vincenzo Amato (Marc Bennet)
Beatrice Grannò (Alice adolescente)

Il nostro giudizio

Tornare è un film del 2019, diretto da Cristina Comencini.

Tornare di Cristina Comencini è di gran lunga, nella sezione lungometraggi, il più nocturniano dei film presentati al concorso I luoghi dell’anima, svoltosi poche settimane fa online su MyMovies. Senza entrare nelle trite e ritrite (e inutili) discussioni su cinema d’autore o di genere, il film della Comencini – figlia d’arte e regista che sa il fatto suo – è la dimostrazione di come tali etichette siano pura masturbazione speculativa, mentre la verità è un’altra: la verità è che il cinema o arriva o non arriva, e Tornare arriva dannatamente bene agli occhi, alla mente e al cuore dello spettatore. Scritto dalla stessa Comencini insieme a Giulia Calenda e Ilaria Macchia, il film ha come protagonista la matura Alice (Giovanna Mezzogiorno), che nel 1991 fa ritorno a Napoli per il funerale del padre: l’uomo era un militare americano di stanza in città, e lei stessa vi aveva vissuto da bambina e da adolescente, prima di essere portata via per qualche misterioso motivo. Mentre sta elaborando il lutto e discute con la sorella se vendere o meno la casa – una splendida villa affacciata sul mare – conosce Marc (Vincenzo Amato), un misterioso scrittore americano che dice di essere amico di suo padre e che sembra conoscere bene il suo passato. Alice lo frequenta, un po’ affascinata e un po’ intimorita, e rivedendo i luoghi della sua giovinezza le tornano alla mente tragici ricordi che aveva cancellato, e che forse era meglio lasciare sepolti. Tornare è un film complesso, stratificato e ricco di chiavi di lettura, anche psicanalitiche: una complessità che si palesa fin dalla diegesi, essendo la trama un continuo rebus – come la matriosca con cui gioca un bambino verso l’inizio, o come la Alice (nomen omen) del romanzo di Lewis Carroll, citato in un dialogo.

È un dramma psicologico che diventa thriller e viceversa, un viaggio a ritroso nel tempo e nei luoghi (dell’anima, come recita il festival, ma anche del corpo); è una sorta di madeleine proustiana che evoca sensazioni, sentimenti e ricordi, sempre strettamente connessi ai luoghi dove la donna è vissuta, e che appassiona grazie a una sceneggiatura dove il fattore umano e l’elemento giallo viaggiano sempre a braccetto. La Napoli ritratta è diversa da quanto siamo abituati a vedere (il film è girato perlopiù a Posillipo, fra il mare, le grotte e il parco archeologico), è una città dove la vitalità dell’azzurro stride con il decadentismo degli interni ricostruiti della villa, e dove le rovine dell’antica Roma convivono con grotte a livello dell’acqua e passaggi segreti. Il mistero nascosto nella pubertà e il passato che si presenta a chiedere il conto sono centrali in Tornare: e devono essere temi molto cari alla Comencini, visto che già nel 2005 aveva diretto un film dall’impianto simile, il toccante La bestia nel cuore, ancora con protagonista la Mezzogiorno e incentrato sugli abusi di un padre sui figli. Qua il discorso è differente, e anche l’impostazione è diversa – il nostro film assume i connotati di un autentico thriller psicologico – ma il cuore dell’enigma è ancora uno stupro. Tornare è un viaggio nei luoghi e nel tempo, dunque il meccanismo narrativo prevede il continuo utilizzo di flashback, ma non come inserti a sé stanti, bensì come una sorta di unico flusso di coscienza fra la Alice adulta e la Alice bambina e adolescente. È quel modus narrandi dove le scene passano dal presente al passato (e viceversa) senza soluzione di continuità, facendo convivere personaggi di ieri e di oggi.

Uno stile che la Comencini estremizza in dialoghi dove si esterna la mente della protagonista: una Mezzogiorno sempre bella e intensa parla con sé stessa da bambina ma soprattutto da ragazzina (interpretata dalla splendida Beatrice Grannò), in una sorta di coming of age che porta a galla temi delicati come la sua nomea di ragazza facile, la verginità, il desiderio sessuale, fino alla violenza che ha subito. Nel disvelamento dei ricordi, è fondamentale il personaggio ambiguo e misterioso di Marc, che la segue come un’ombra. Tornare è anche una grande tavolozza visiva: con un gusto che può ricordare la trilogia dei colori kieslowskiana, la regista dipinge inquadrature che rasentano il sublime, oscillando fra varie tonalità cromatiche. Nelle immagini catturate dalla splendida fotografia di Daria D’Antonio domina spesso l’azzurro del cielo e del mare, a cui sono contrapposti gli ombrosi interni della casa o delle grotte sull’acqua – vale a dire, le luci e le ombre della vita e della psiche – ma ci sono anche altri preziosismi come i fasci di luce sui volti dei personaggi nei flashback. Un valore aggiunto è poi la giovane e bravissima Grannò (classe 1993, vista di recente ne Gli indifferenti), che vanta anche una notevole somiglianza con la Mezzogiorno: nei panni di una giovane Alice disinibita che ama farsi desiderare senza concedersi, parla disinvoltamente di ninfomania, e mostra il seno nudo e il pube semi-rasato mentre si sta vestendo: inquadrature rapide, sì, ma quando mai capita nel cinema italiano di oggi?