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Todo Modo

1976
Titolo Originale:
Todo Modo
REGIA:
Elio Petri
CAST:
Gian Maria Volonté (M.
il Presidente)
Marcello Mastroianni (don Gaetano)

Il nostro giudizio

Todo Modo è un film del 1976, diretto da Elio Petri.

Ultimo film davvero politico di Elio Petri, Todo Modo è la messa funebre che testimonia dello sfascio ideologico della Democrazia Cristiana. Percorso tortuosamente da una sessualità trattenuta, soffocata, e presentandosi come un incubo metafisico, che prendendo avvio dal romanzo di Sciascia pubblicato nel ’74 – di cui conserva soltanto alcune linee, il guscio e l’allusivo significato del quadro seicentesco con il santo e il diavolo occhialuto – racconta la deflagrazione organizzativa di un meccanismo complesso che dirama le sue articolazioni di potere negli anfratti della corruttela economica, il torbido della gestione politica del pubblico, infine il mistero della desideranza religiosa. Petri porta al culmine l’idea di un realismo metaforico, cercando di far coincidere al massimo il fantasmatico di un’allegoria  appesantita dalla pece di una simbologia apocalittica, con il calco perturbante della scena reale. Il procedere della narrazione dalle cadenze liturgico-quaresimali, accentuate dalla musica d’organo di Ennio Morricone e dallo spazio scenografico di buia e moderna austerità costruito da Dante Ferretti, è scandito in quattro momenti: una “vigilia”, con l’arrivo del potentato del partito e del suo presidente, e tre giornate nelle quali si dovranno svolgere gli esercizi della mistica ortopedico-spirituale di Ignazio di Loyola, che sono insieme occasione ultima di riuscire, tramite una “nuova alchimia di equilibri più avanzati”, a correggere l’emergenza/crisi.

Il “giallo” s’insinua con un rosario di spaventosi omicidi, che via via vanno ad attestare l’autodisfacimento di un meccanismo di potere che diviene quasi astratto (la composizione anagrammatica della frase del santo: “Todo modo para buscar la voluntad divina…”, ma anche l’intrusione a un certo punto della vicenda di uomini della Cia e killer dei servizi degreti deviati – il gelidamente silenzioso Franco Citti, che alla fine sparerà l’ultimo colpo alla nuca). Todo Modo, quindi, si scaraventa alla maniera di un atroce pamphlet contro il “compromesso storico”, visto come apice di quell’ennesimo perverso mimetismo rappresentato dalla duttilità accomodante quanto inerziale della politica “moroteista”. Il film vuole immettersi nella scena politica reale del 1976, cercando il più possibile di incidervi, così catacombale nella sua mimesi (un Gian Maria Volonté che è un’inquietante sosia di Moro, o altre caratterizzazioni, alcune felici come il Voltrano di un Ciccio Ingrassia dal volto glabro e gli occhi sprofondati nelle orbite, o il batailliano Marcello Mastroianni, altri meno, come la Giacinta di Mariangela Melato).

Tra le pieghe luttuose, persino brutalmente comico (come voleva esserlo anche il Salò-Sade pasoliniano). Ma è solo un attacco frontale e viscerale al malgoverno, all’epoca trentennale, dello “scudo crociato”? Alla luce di oggi lo si può interpretare forse, e più agevolmente di ieri, come un’astrazione concettuale sulla perdita dell’idealità spirituale, della fede e dei valori del pensiero religioso, che erano stati il fulcro energetico, nonché il collante pratico e la forza di una lunga egemonia politica. Ciò che aveva potuto giustificare i più turpi machiavellismi, dei singoli dirigenti e complessivamente della stessa “balena bianca”. Quell’uso indiscriminato, spesso criminale, nell’abitazione del suo potere, per conservarsi e riprodursi nel suo melmoso sistema saldato in un’ossatura che puntellava ogni angolo del Paese, il quale dopo la parabola ascendente degli anni del dopoguerra, iniziava a volgere in un degrado morale e civile che sarebbe stato inarrestabile. Prima ancora del crack economico, come sottolinea appunto Todo Modo nell’illustrarci la pericolosità di un potere che sta diventando nichilista, un’anarchia negativa e acefala senza agganci a una prospettiva umana e sociale, che ha reciso i legami di “verità”, come fossero orpelli. Ed è meglio, quindi, non accostarvisi neanche su “binari paralleli”, vuole dirci Petri. Si tratta di un banchetto di “mostri”, che finiranno per fagocitarsi tra loro.