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Thunder

2022
Titolo Originale:
Foudre
REGIA:
Carmen Jaquier
CAST:
Lilith Grasmug (Elisabeth)
Mermoz Melchior (Joseph)
Diana Gervalla (Adèle)

Il nostro giudizio

Thunder (Foudre) è un film del 2022, diretto da Carmen Jaquier.

Tutti sanno che quello tra sesso e religione è un abbraccio passionale. D’altronde è proprio la privazione che ingrandisce il desiderio: più gli istinti del corpo vengono castigati, in nome dell’essere superiore, più questi prima o poi esplodono in modo devastante. Impossibile fermarli. E c’è ormai una vasta filmografia, che percorre in modo trasversale la stessa storia del cinema, variando da un’epoca all’altra, a seconda degli sguardi dei registi e delle possibilità della censura. A ravvivare il filone, ma anche a compiere un passo avanti, è uno dei film più potenti visti alla Festa del cinema di Roma: Foudre, titolo internazionale Thunder, insomma fulmine, esordio della regista svizzera Carmen Jaquier. Siamo a inizio Novecento, Elisabeth ha diannove anni e fa la giovane novizia: un giorno d’estate viene richiamata a casa dalla sua famiglia dopo la morte improvvisa della sorella maggiore, per dare una mano a lavorare nei campi.

L’aspirante suora fa quindi il passo del gambero, esce dal convento e torna nella società, per così dire: si tratta di un mondo chiuso, una bolla dominata dalla madre iper-religiosa e autoritaria, dal padre condiscendente, appena rischiarata dalle due sorelle minori bambine, che quando vedono Elisabeth sdraiata nel pagliaio la scambiano per il diavolo. Non ci vanno molto lontano. Perché la giovane toccherà la terra ma troverà la carne. Il grande omissis sulla scomparsa della sorella, di cui non si può parlare, per cui non si può neanche pregare, viene gradualmente svelato attraverso il diario: era una ragazza “dissoluta” che intratteneva rapporti sessuali con i giovani del luogo, quindi la persecuzione ai suoi danni la spinse a darsi alle acque. Elisabeth finora è stata educata solo nell’anima: legge le memorie e assaggia il miele del diavolo, inizia un percorso sofferto di formazione sessuale e finisce perfino coinvolta in un menage a quattro. Sostituisce la sorella, diviene il doppio vivente del suo fantasma che le parla, così come potrebbero diventarlo le due bimbe domani. La grata della cella famigliare ha ormai iniziato a scricchiolare. Lo scontro atavico tra l’anima e la carne ha un solo vincitore: “Dio l’ho trovato nel corpo”.

La regista sceglie una protagonista straordinaria, la ventitreene americana Lilith Grasmug, in grado di risvegliare gli istinti più sopiti, in chi guarda ma soprattutto in se stessa: dopo una breve premessa il film infatti diventa una vertiginosa scoperta del proprio corpo, dell’erotismo e infine del sesso. L’attrice gestisce tutto in modo seducente e magistrale: prima lecca un trancio di carne, poi si punisce strofinando l’erba urticante sulla pelle nuda, o forse così si eccita, ed ecco l’ombra del divino Sacher-Masoch, insomma del sadomaso. Da parte sua, Carmen Jaquier all’inizio sembra correre il “pericolo” del film d’autore, col principio contemplativo poggiato sugli splendidi paesaggi elvetici, facendo intuire una declinazione fin troppo estetizzante del racconto. Poi però cambia marcia e si sporca le mani, eccome, e non solo quelle, inscenando le perversioni in campo, senza dissolvenze, compresi i nudi integrali, che vengono proposti con raffinatezza e insieme grande effetto. Restando sempre ancorati alla zona pelvica che lega religione e sesso, perché la catarsi dell’uno è conseguenza dei divieti dell’altra: “Se vedrai Dio nei miei occhi mi puoi baciare sulla bocca”. Il pensiero va a La religiosa nella versione di Guillaume Nicloux, in cui perfino Isabelle Huppert ci provava con la suorina Pauline Etienne (la scoperta del sesso non è certo questione di genere), ma in generale a tutto il cinema della tentazione, come il Pialat di Sotto il sole di Satana. E c’è perfino odore di Bruno Dumont. Un gran debutto, dunque, che ospita anche una fantastica orgia a cui segue una punizione, naturalmente aumentando il piacere.