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Three

2016
Titolo Originale:
Three
REGIA:
Johnnie To
CAST:
Louis Koo
Zhao Wei
Wallace Chung

Il nostro giudizio

Three è un film del 2016, diretto da Johnnie To

Il genere è un contenitore a chiusura ermetica o selettivamente permeabile, può contenere aria fritta o aria nuova, dipende da chi lo usa e da come lo usa. Il genere non va praticato né riprodotto, va interpretato, attraversato, trasformato. In cosa vada trasformato, non è dato sapere a priori, a volte nemmeno in itinere è dato saperlo, è questo il caso di Three, l’ultimo grande film di Johnnie To, To il maestro, To l’artigiano, To il cinefilo, To il fecondissimo, To l’impunito, che in intervista dichiara di aver lavorato a braccio, senza uno script di partenza, quasi per associazione di idee, “per esigenze di produzione” dice ghignando, facendosi beffe degli stakanovisti dello storytelling, dei farisei dello storyboarding. Senza script, usando il contenitore per fare un “contained movie” – definizione di nuovo conio, copyright di Rob Zombie -, un film contenuto in un ambiente circoscritto, un ospedale di Hong Kong, il paradiso sembra, tanto è asettico il suo lucore. La storia, così come la macchina da presa, ruota vorticosa intorno a tre personaggi principali, un criminale moribondo con un buco in testa – bullet in the head – e tanti segreti, una neurochirurga con i sensi di colpa, uno sbirro senza scrupoli (“forziamo la mano alla legge perché la legge trionfi”, dice).

Un triangolo a geometria e relazioni variabili immerso in un pulviscolo di divise, camici, pigiami, che in altri luoghi, altre stanze, sarebbero personaggi secondari, comparse o figuranti, qui sono ingranaggi umani funzionali allo sviluppo del racconto. Nello specifico, l’ambientazione principale è il reparto di terapia neurochirurgica intensiva, con i pazienti allettati da gravi patologie: c’è lo schizoide bulimico compulsivo, il vegetale post aneurisma, il paralitico canceroso. Tre anche loro, sottotrame che entrano nella trama principale come incursori sotto un tank, piazzano cariche emotive e deviano l’azione, declinando in modo imprevedibile la rispettiva immobilità. Parli di spazio racchiuso e pensi subito alla claustrofobia, questo vale ovunque, non qui, qui il gated space diventa open space, l’ospedale come ecosistema trasparente, come un acquario, non esistono sale inaccessibili, porte senza vetri, tende che occultino letti e degenti, è tutto visibile, per necessità e per volontà, tutto va guardato, anzi, nel gergo clinico, monitorato. Qui sta il divertimento massimo di To, seminare la scena di elementi che catturino ed ingannino gli spettatori, usare i topoi del suo cinema (il cibo come collante sociale, i dialoghi metafisici, il sangue) al servizio di un proteiforme gioco da camera, Dogville di corsia che si trasforma in commedia alla Altman e vira in dramma alla Joseph Losey, avanti così, cangiante, per circa 60 degli 84 minuti di durata. Poi, improvvisa ma invocata, arriva la prima detonazione, poi un’altra, un’altra ancora, perché Three è una produzione Milkyway Image, e anche il mercato vuole la sua parte (20 milioni di dollari al box office Cina – Hong Kong).

Che esplodano le bombe, che si spari allora, il reparto come l’Ok Corral, i poliziotti contro la gang del moribondo, volano proiettili e volano corpi, la gravità è sospesa come nello spazio, o come sottacqua, la CGI al servizio dell’azione osservata nel paradosso della lentezza più esasperante. Il film rotola verso l’epilogo allora, ma non prima di un’altra beffa, un’altra sorpresa, il paralitico si impadronisce di una sedia a rotelle e rotola giù per la scalinata, Eisenstein e Potemkin, sotto l’occhio (l’occhio della madre! Il montaggio analogico!) della dottoressa trasfigurata. Ancora colpi di scena, tentativi di fuga, lenzuola che avvincono e vetrate che si infrangono, i tre protagonisti che loro malgrado uniscono le forze e così si riscattano, ma forse tutto questo non è mai accaduto, Inception, è tutto nella mente del ganster moribondo, il cinese in coma. Chiudiamo qui il nostro doveroso e riconoscente tributo a Johnnie To, condividendo la critica più bella, quella di Indiewire: “Three è una lectio magistralis, un film unico e infinito, come chi lo ha creato”