Featured Image

The Transparent Woman

2015
Titolo Originale:
The Transparent Woman
REGIA:
Domiziano Cristopharo
CAST:
Roberta Gemma (Anna)
Arian Levanael (Carl)
Giovanna Nocetti

Il nostro giudizio

The Transparent Woman è un film del 2015, diretto da Domiziano Cristopharo.

Domiziano Cristopharo torna a stupire con un raffinato omaggio al thriller/horror italiano anni Settanta, The Transparent Woman (2015), che prosegue in un certo senso il discorso iniziato con gli episodi di Shock e Phantasmagoria e con il gotico Bloody sin. Sceneggiato dal fedele collaboratore Andrea Cavaletto (uno fra gli autori di Dylan Dog), è un thriller “da camera” incentrato su due protagonisti, Anna (Roberta Gemma) e Carlo (Ariel Levanael). Lei è una donna cieca, lui un austero professore, una coppia che si trasferisce nella casa di campagna dove l’uomo abitava anni prima. Qui, Anna inizia a percepire misteriose e impalpabili presenze: passi, odori strani, telefonate anonime, e una stanza chiusa in cui il marito le proibisce di entrare. Fantasmi, allucinazioni o un nemico invisibile? Non sono solo Bava e Argento che Cristopharo vuole omaggiare, attraverso le luci iperrealistiche blu e rosse: vi ritroviamo i gialli erotici di Umberto Lenzi e Sergio Martino, il gotico di Emilio Miraglia (come in Evelyn e La dama rossa, il confine tra reale e soprannaturale è più che mai ambiguo), ma anche Pupi Avati nella figura del prete/donna, il mellifluo e inquietante padre Mario interpretato dalla cantante Giovanna Nocetti.

The Transparent Woman è sì un “neo-giallo”, ma al contempo va oltre, perché il cinema di Cristopharo non ammette schematismi. L’opera è infatti ricca di richiami, più o meno volontari, ad altri film e racconti: sicuramente ci sono reminiscenze da Psycho (con un gusto necrofilo che il regista aveva già esibito in precedenza), da quei thriller come Terrore cieco incentrati su donne non vedenti in lotta per la vita, senza dimenticare la crudele favola di Barbablu. L’estetica – intendiamo fotografia, scenografie e musiche – è comunque squisitamente da thriller all’italiana, un “thriller 2.0” che ha innanzitutto il merito di non limitarsi alla pura esibizione formale, ma unisce l’immagine magnetica con una sceneggiatura micidiale e una regia solida. La colonna sonora (Sangiovanni e Dibona) fin dall’incipit si manifesta nella sua essenza, fatta di vocalizzi femminili e melodie in bilico fra malinconia e inquietudine, alternate ad archi stridenti: una musica che unita alla fotografia flou e alle luci bluette (uno fra i “marchi di fabbrica” di Cristopharo, pensiamo a Doll syndrome) crea un’atmosfera claustrofobica, rarefatta e minacciosa. Transparent woman è girato quasi completamente in interni, per cui è dedicata una minuziosa attenzione alla costruzione delle scenografie: negli interni dal gusto new-age trovano spazio oggetti vintage, sempre in omaggio ai Seventies, quali giradischi e telefoni vecchio modello, preceduti dal rasoio della prima scena. Notevole è la costruzione progressiva della suspense: si parte da semplici impressioni, presenze in soggettiva e incubi (un po’ nello stile delle vecchie ghost-story) per poi sondare una minaccia sempre più concreta, che esplode in un doppio finale capace davvero di suscitare paura.

Peculiarità di The Transparent woman, probabilmente mai usata in nessun altro film, è l’adozione di uno strumento alternativo da parte della protagonista – un cellulare per non vedenti che scatta le foto ed emette una voce dice cosa ha di fronte, che sarà la chiave per risolvere il mistero. È un innovativo point-of-view (in senso metaforico) con cui la protagonista si muove nel buio ed esplora l’ambiente circostante, coadiuvato da una tattilità marcata della protagonista (ripresa spesso nei dettagli mentre tocca gli oggetti). Strepitosa la performance di Roberta Gemma – non è facile restituire in modo così espressivo il volto di una donna cieca, con gli occhi persi nel vuoto – memorabile anche per alcune scene erotiche e per il finale al cardiopalma, in una lotta col nemico che ricorda la sfida conclusiva del Torso di Sergio Martino. Altrettanto efficace è Levanael (già visto in Bloody sin), aspetto severo e due occhi blu/ghiaccio penetranti. Completano l’estetica old-school i titoli dai colori pop-psichedelici e alcuni brani cantati dalla Nocetti. Da segnalare anche una deorbitazione dal sapore fulciano.