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The Raid 2

2014
Titolo Originale:
Thug
REGIA:
Gareth Evans
CAST:
Iko Uwais (Rama/Yuda)
Arifin Putra (Uco)
Tio Pakusadewo (Bangun)

Il nostro giudizio

The Raid 2 è un film del 2014, diretto da Gareth Evans.

Non capita spesso che dalla critica arrivino plausi unanimi per un film, soprattutto quando si tratta di un action movie infarcito di violenza e non porta la firma di Takeshi Kitano o Johnnie To. Il risultato raggiunto nel 2011 da Gareth Evans, con The Raid, ha quindi ancora più valore. Un crescendo di violenza dalla struttura molto classica, ma ricco di situazioni costruite con una freschezza rara e coordinate da una sceneggiatura coerente e da coreografie avvincenti, questa la ricetta segreta per il primo capitolo di quella che si annuncia oggi come una possibile trilogia.

Del terzo film non è ancora dato sapere molto – a parte la presenza del regista e di Iko ‘Rama’ Uwais, e il fatto che si svolgerà nelle due ore precedenti alla conclusione del secondo – ma c’è sicuramente abbastanza di cui cibarsi con questo nuovo The Raid 2 – Berandal, presentato al Sundance e da poco uscito nelle sale statunitensi. Il termine Berandal significa “teppisti” quanto “terremoto” e, nelle intenzioni originarie, doveva addirittura essere il titolo del primo film, poi cambiato nel più esplicito Serbuan Maut (Irruzione mortale), sicuramente più attinente allo sviluppo dell’azione mostrato dalla missione della squadra speciale guidata da Rama e Wahyu alla ricerca del boss criminale Tama Riyadi all’interno del condominio da lui controllato. Definito dallo stesso regista “più di un horror” (genere con cui condivide, soprattutto nella sua estetizzazione orientale, alcuni toni e ambientazioni), The Raid ha davvero costituito un’apprezzabile novità. Ma, indubbiamente, anche un’asticella molto alta da superare per il nuovo capitolo. Che intelligentemente, come il suo predecessore, utilizza strumenti semplici ed efficaci per scardinare il giudizio dello spettatore.

Tolto l’effetto sorpresa, Evans sceglie di non cambiare la formula vincente, seguendo il procedere dell’Eroe durante una lunga serie di ostacoli e prove che la missione  di turno gli para davanti. Le unità di tempo e di spazio, stavolta, sono meno stringenti, ché tornare a chiudersi in un labirinto fisico sarebbe stato sciocco. E cosi, ricollegatici alla conclusione di The Raid che regala subito un sussulto, siamo di nuovo con Rama in un infernal affair ben congegnato. Il suo compito sarà, da infiltrato, quello di informare la polizia sui movimenti delle principali famiglie criminali di Jakarta (in realtà Gombong, sempre in Indonesia) e sui rapporti di corruzione stretti con altri poliziotti. Con il nome di Yuda, viene accettato dal Boss Bangun e messo al fianco del suo inquieto primogenito Uco, da Rama già aiutato in una delle scene iniziali più avvincenti viste da molto tempo a questa parte.

Nella mezz’ora iniziale di The Raid 2, infatti, quella che dovrebbe dettare le direttrici su cui ci muoveremo, un paio di perle non ci fanno pentire del cambiamento concettuale alla base del film: la prima (realizzata già per il primo film e ora replicata): una rissa nell’angusto cubicolo di un bagno; la seconda: un enorme scontro senza quartiere nel fangoso cortile della prigione. Le carte in tavola sono scoperte, The Raid 2 sarà ancora più scatenato e coreografico del precedente. E se nel primo, la location la faceva da padrone, prestandosi agli scontri come presenza attiva, qui si gode molto di più di una libertà di movimento che regala combattimenti multi-level di ogni tipo. Oltre agli esempi suddetti, vediamo i vari personaggi menare le mani dentro un’auto in movimento, magazzini e uffici, i palchi di un locale notturno, un vagone della metro, ristoranti e soprattutto un banale corridoio, teatro di un momento chiave della vicenda che vede Rama contro la coppia più “cult” del film, i fratelli “Baseball Bat Man” e “Hammer Girl”.

Vedere per credere. Preparatevi a lotte dalle sequenze spettacolari e di ottimo livello, ma anche a un’esperienza che forse poteva essere snellita. La lunghezza delle scene più movimentate, quanto quella di quelle recitate, necessarie allo sviluppo e comunque ben gestite (a parte qualche leggerezza e/o forzatura), unita alle due ore e mezzo del film, costituisce una prova non per tutti. Soprattutto in un film che torna costantemente sul tema della consapevolezza dei propri limiti. Ma non abbiate paura di annoiarvi, semmai di scoprire fino a dove arriva la vostra sopportazione del Pencak Silat (l’arte marziale ampiamente sfruttata nei due film) e dell’efferato ed esplicito uso di ogni tipo di strumento o arma – a parte quelle da fuoco, del tutto bandite – messo in scena da Gareth Evans. Evidentemente provato lui stesso, visto che ha già annunciato di aver bisogno di una pausa – di almeno due o tre anni – prima di mettersi al lavoro sulla conclusione della trilogia.