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The Pod Generation

2022
REGIA:
Sophie Barthes
CAST:
Emilia Clarke (Rachel Novy)
Chiwetel Ejiofor (Alvy Novy)
Vinette Robinson (Alice)

Il nostro giudizio

The Pod Generation è un film del 2023, diretto da Sophie Barthes.

Spesso viene da chiedersi cosa renda noi umani così unici e differenti rispetto ad ogni altro essere intento a volare, strisciare e zampettare su questo disastrato globo terracqueo. La parola? Il pensiero? Oppure il voler indossare sandali e calzini con ostinata nonchalance? Beh, a dirla tutta niente di tutto ciò, poiché è solo la benamata tecnologia ad averci elevato, nell’arco di oltre duecentomila anni, al rango di cosiddetta “specie dominante”. Ma cosa accadrebbe se, in un ipotetico prossimo futuro, l’umana tecnologia permettesse al gentil sesso di sgravarsi – più che mai letteralmente – dell’onorevole e oneroso fardello della gravidanza tramite una rapida e indolore tecno-gestazione per procura? Un interrogavo alquanto spinoso su cui arrovellarsi, non c’è che dire. Soprattutto in delicatissimo momento storico nel quale, quantomeno fra i nostri italici confini, accaloratissime querelle politiche e culturali vengono aspramente combattute attorno allo spauracchio del cosiddetto “utero in affitto”, sul quale slogan, crocifissi e orde di baby boomer e figliocci della Generazione X non smettono un secondo di sputacchiare con plateale disgusto.

Ma va da sé che, prima o poi, le domande, per quanto scomode, occorre comunque farsele. E se vi è oggigiorno qualcuno disposto a sollevare, senza particolare paura né ritegno, un così provocatorio punto interrogativo, beh, quella è di certo la scaltra Sophie Barthes che, con il suo curioso The Pod Generation, cullati dalla doppia onda dello humor e della fantascienza ci trasporta verso una distopica utopia a calde tinte pastello; probabilmente fuoriuscita dal peggior incubo di ogni bigotto e incallito conservatore. Una Tomorrowland ormai interamente green, pro fitness e libera da inutili fardelli quali la creatività e l’istruzione pubblica, dove i cibi vengono sintetizzati seduta stante da stampanti 3D ben più stellate di un qualunque Carlo Cracco e una bella sniffata di corroborante (e legalizzata) cannabis non la si leva, ormai, proprio a nessuno. È dunque in questa paradisiaca – o infernale, a seconda dei punti di vista – Next Generation che vive e vegeta la bella Rachel (Emilia Clarke), impiegata in una stilosissima società produttrice di avanzate intelligenze artificiali per assistenti vocali e felicemente sposata con il buon Alvy (Chiwetel Ejiofor), appassionato botanico di indole “analogica” costretto, suo malgrado, a barcamenarsi in un mondo nel quale nessuno conosce più il sapore autentico di un frutto colto da un albero poiché gli alberi stessi sono ormai destinati a sopravvivere come curiosità da museo o, peggio ancora, quali anonimi ologrammi. Quando però il materno istinto riuscirà a farsi strada nella serrata routine della nostra  protagonista, bussando al suo digitalizzato orologio biologico, ecco venirle prontamente in aiuto gli ultimi miracolosi ritrovati della (fanta)scienza offerti dalla pimpante Linda Wozcheck e dal suo Womb Center, nel quale rivoluzionari grembi artificiali mascherati da simpaticissime uova luminose permetteranno alla nostra strana coppia 4.0 di custodire e far germogliare il frutto della loro altrettanto artificiale inseminazione, senza il consueto fastidioso menù di nausea, stress, vampate di calore e caviglie a cotechino.

Ma quella che era stata inizialmente propagandata come un’insolita e alternativa gravidanza “condivisa”, finirà per divenire un’esperienza umanamente ed eticamente sempre più complessa, spingendo la nostra pimpante donnina in carriera e  il suo reticente compagno a rivedere i propri (pre)concetti di maternità e paternità, trovando dunque il modo più adatto per concepire, seppur indirettamente, il loro unigenito (i)Pod Child. Mettiamola pure così: in un folle e ipotetico universo parallelo, nel quale un ragazzone mai troppo cresciuto come Wes Anderson avesse di colpo scelto di cedere al Lato Oscuro della Forza per dirigere una puntata di Black Mirror, The Pod Generation non sfigurerebbe affatto all’interno di una colorata, fumettistica e intellettualoide filmografia alternativa nel mezzo di titoli quali Le avventure acquatiche di Steve Zissou e Grand Budapest Hotel. Il dolce e grottesco tocco da da opera (dis)impegnata  rende questa dramedy sci-fi qualcosa di ben diverso dall’ennesimo pretenzioso e subliminale j’accuse rivolto ai potenziali pericoli e storture dello sviluppo tecnologico sfrenato; allineandosi piuttosto a un discorso sottilmente più provocatorio e intellettualmente stimolante che recenti opere quali Jexi, Superintelligence e Il robot che sembrava me si sono già prese la briga di apparecchiare con toni egualmente distesi e scanzonati. Ma nel suo stralunato e irriverente mood da favola fantascientifica bagnata con echi vagamente alleniani, la creatura di Sophie Barhtes non può che richiamare la straordinaria capacità di un coevo – e purtroppo ingiustamente snobbato – titolo quale Brian e Charles di impiegare il filtro della sur-realtà per alleggerire il peso specifico di tematiche attualissime quanto esplosive all’interno del fallout radioattivo di una società contemporanea nella quale téchne ed ethos difficilmente viaggiano al medesimo passo. Non riuscendo tuttavia a mantenere a lungo la medesima asciutta compattezza che avevano reso (troppo poco) celebre l’opera di Jim Archer, perdendo progressivamente aderenza sul terreno della propria stessa critica di fondo e giungendo, tutto sommato rapidamente ma con discreto affanno, verso un epilogo orfano di un chiaro e catartico insegnamento morale. Un guscio vuoto, insomma: simpatico, colorato e tecnicamente impeccabile quanto i sopracitati futuristici Pod che lo popolano ma, a differenza loro, incapace di covare una vera e propria vita; reale o artificiale che sia.