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The Mandela Effect

2019
Titolo Originale:
The Mandela Effect
REGIA:
David Guy Levy
CAST:
Charlie Hofheimer (Brendan)
Aleksa Palladino (Claire)
Clarke Peters (Dr. Fuchs)

Il nostro giudizio

The Mandela Effect è un film del 2019 diretto da David Guy Levy.

Avete presente quei calzini rossi che vi piacciono tanto e che tenete ben custoditi nel secondo cassettone del comò? Ebbene, non solo in realtà sono gialli ma, udite udite, si trovano nel terzo ripiano dell’armadio. Strano vero? Tranquilli, è solo l’Effetto Mandela. Ok ma, ora che ci pensate, il cognato di vostra sorella non aveva mica due figlie piccole? Macché, solo un bel maschietto prossimo alla laurea. Ma come diamine è possibile?! Che sia colpa dello stramaledetto Effetto Mandela? Forse, chissà… Scherzi a parte, qualcosa di vero deve pur esserci se milioni di persone in tutto il mondo cianciano di eventi che si sono svolti diversamente quanto ricordiamo o, peggio ancora, che paiono non essere mai accaduti. Dunque perché non cogliere la palla al balzo e imbastirci un bel filmetto? Detto fatto, ecco che il buon David Guy Levy, dopo averci sapientemente stuzzicati con i sadici giochetti di sopravvivenza di Would You Rather, ritorna alla carica, fresco e pimpante, per farci sprofondare nei più profondi abissi della paranoia con The Mandela Effect. Ottanta minuti tondi tondi di teorie del complotto, universi paralleli, fisica quantistica e tante allegre masturbazioni mentali dalle quali uscire con ben più di qualche loffia domandina esistenziale da spiattellare tra una birretta e l’altra la domenica sera. Si perché, al netto di qualche inevitabile ingenuità di scrittura frutto dell’evidente necessità di rendere quanto più possibile accattivante una materia da master universitario, questo fiero thrillerino fantascientifico in sapore di Black Mirror The Twilight Zone ha tutto il potenziale per attecchire a lungo nella mente e negli occhi dello spettatore.

Imbastito con gran mestiere dal nostro coraggioso e scafato Levy, The Mandela Effect ci permette di assistere al letterale deterioramento della felice vitaccia di Brendan (Charlie Hofheimer), spensierato programmatore di videogiochi costretto ad affrontare assieme alla moglie Claire (Aleksa Palladino) la tragica morte della figlioletta Sam (Madeline McGraw). Il lutto sembra procedere tra alti e bassi, fino a quando una serie di piccoli e apparentemente insignificanti eventi iniziano a incrinare irrimediabilmente le certezze del nostro protagonista. Piccole cose, come il titolo di un libro impercettibilmente mutato e fotografie che ritraggono luoghi mai visitati. Dettagli insomma, ma tuttavia sufficienti a gettare una pericolosissima e perturbante ombra sui ricordi di tutta una vita. Tuffandosi a capofitto in una disperata ricerca in rete, Brendan scoprirà infatti di non essere il solo affetto da questa serie presunti falsi ricordi. Un’autentica ossessione paranoica che potrebbe trovare una spiegazione tanto folle quanto coerente negli studi di un certo dottor Fuchs (Clarke Peters) e nella sua ferrea convinzione riguardo al fatto che la realtà che ci circonda non sia alto che il frutto di una simulazione informatica. Preso contatto con il pazzo accademico e fatte proprie le sue folli teorie, Brendan inizierà a mettere in discussione la propria intera esistenza, giungendo persino a chiedersi se, qualora una Matrice dovesse esistere per davvero, non fosse possibile resettarla e cancellare così, con un colpo di click, un dolore divenuto col tempo insopportabile.

È interessante ipotizzare cosa sarebbe successo se, in una qualche realtà parallela, al posto dell’osannato Inception, il caro Nolan avesse avuto tra le mani il soggetto di The Mandela Effect. Sta di fatto che, in un quarto del metraggio e con meno di un quarto del budget a disposizione del caro Chistopher, David Guy Levy porta a casa un onestissimo prodotto d’intrattenimento che non avrebbe certo scontentato quel gran volpone di P.K. Dick. Si perché, nonostante lo spettro del beneamato Matrix wachowskiano aleggi sornione dalla prima all’ultima inquadratura, il pensiero del più goloso e scafato spettatore vola libero verso Il tredicesimo piano e tutti quei piccoli gioiellini di sci-fi speculativa nei quali si è portati a domandarsi se, alla fin della fin della fiera, convenga poi davvero così tanto ingollare la proverbiale pillola rossa e squarciare una volta per sempre il virtuale velo di Maya. Falsa realtà o realtà autentica? Questo l’annoso quesito che il povero Brendan è costretto a porsi, ben sapendo per esperienza che, una volta buggato, il gioco non potrà più tornare ad essere come prima. Ed è inquietante assistere a come, mano a mano che la consapevolezza si fa strada nel nostro protagonista, la realtà, autentica o simulata che sia, inizi a collassare su sé stessa peggio che in un game play di Cyberpunk 2077, portando lo spettatore stesso a collezionare un’inquietante serie di subliminali indizi che lo pongono sul medesimo livello di perturbante incertezza dei personaggi che sta osservando. Ma a differenza del filosofico Bliss, dove il confine fra realtà e simulacro è per lo più frutto di una condizione esclusivamente mentale, l’universo di The Mandela Effect appare terribilmente più oggettivo e autentico nella sua paradossale simulazione. Un distorto e misterioso The Truman Show dal quale svegliarsi non è detto sia la migliore delle soluzioni.