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The Lodge

2019
REGIA:
Veronika Franz, Severin Fiala
CAST:
Riley Keough (Grace)
Jaeden Martell (Aidan)
Lia McHugh (Mia)

Il nostro giudizio

The Lodge è un film del 2019, diretto da  Veronika Franz e Severin Fiala.

Severin Fiala e Veronika Franz, che nella vita reale sono nipote e zia (lei è la moglie di Ulrich Seidl), hanno posto all’attenzione del pubblico un grande film che si intitolava Goodnight Mommy. Un horror che, nella definizione di horror, tuttavia, ci sta come nel letto di Procuste, il bandito mitologico che piazzava i viandanti su un lettuccio e se erano troppo corti li stirava o se erano troppo lunghi li amputava. Era la storia di due bambini che non riconoscevano più la madre, dopo un’operazione di chirurgia plastica, anzi per l’esattezza un lifting, per cui la povera tizia bendata in viso ne subiva, dai pargoli, di ogni colore. Il tutto all’interno – che diventava inferno – di una grande e moderna villa isolata. Dopo l’esplodere del caso Goodnight Mommy Fiala e la Frank diventano prede appetibili dalla cinematografia d’Oltreoceano, come da prassi. «Eravamo subissati dalle mail di agenzie americane che chiedevano di rappresentarci. Ne ricevevamo in media una cinquantina al giorno ed era diventato impossibile fare altro che rispondere. Così ci siamo detti: “Scegliamone una”, convinti che ci saremmo levati dalle scatole questa seccatura. Ma, a qual punto, scelta un’agenzia, abbiamo cominciato a ricevere le sceneggiature che ci sottoponevano. Centinaia di script, che per lo più facevano schifo…». Può accadere che nel letame ogni tanto si rinvenga anche dell’oro. E stavolta è successo. Fuori dalla metafora alchemica, l’oro era un soggetto dal titolo The Lodge: in italiano, più o meno, “lo chalet” o “il rifugio di montagna”. Fiala e la Franz, quando se lo sono trovato tra le mani, devono avere pensato a un segno del destino: due bambini, una donna, un luogo quasi inaccessibile.  Ohibò, gli elementi basilari di Goodnight Mommy ma miscelati in modo differente e posti in un new order. Poteva ricordare il loro vecchio film ma era una cosa differente, che sarebbe diventata il “loro” nuovo film. L’autore di questo soggetto era Sergio Casci, uno sceneggiatore residente a Glasgow con ceppo ancestrale italiano, lo aveva fatto arrivare tramite il suo agente, lo script di The Lodge, alla Hammer Film, ma senza sperarci troppo. E invece.

I due austriaci si sono buttati subito sul soggetto e, insieme a Casci, lo hanno sviluppato in sceneggiatura, ricavandone il film che oggi vediamo. Il meccanismo a orologeria viene innescato nella maniera più inquietante, attraverso immagini rubate dal passato: un bambino e una bambina sono sottoposti, da una sorta di prete, a qualcosa che ha il sapore di un rito arcano, tra il mistico e l’esoterico, attraverso incisioni fatte nei palmi delle loro mani e delle pratiche di mortificazione. Il salto ai nostri giorni ci proietta in una famiglia americana in fase di disfacimento: il padre, Richard (Richard Armitage) uno psichiatra, e la madre (Alicia Silverstone) si sono separati, e lui ora ha una nuova fiamma, una ragazza molto più giovane, una sua ex paziente (Riley Keough). Ci sono due figli, un maschio Aidan, di 15 anni (Jaiden Martell), e una bambina, Mia, di 10 (Lia McHugh). Venuta a conoscenza di questa relazione, la madre si toglie la vita e i due ragazzini vanno a stare col papà, il quale intende ricreare un nuovo milieu di affetti che comprenda anche Grace. E quale migliore occasione di quella offerta dalle festività natalizie, da trascorrere tutti insieme in un cottage a Silver Lake, lo chalet del titolo, isolato tra le nevi? I figli non sono propriamente entusiasti, ma devono abbozzare. Durante il tragitto, Mia non fa che giocare con la bambola regalatale dalla madre, mentre Aidan ascolta solipsisticamente musica nelle cuffie. Gli elementi del film o, se vogliamo, della formula cui sono devoti Franz e la Fiala, si preparano ad andare tutti al loro posto: ci sono due ragazzini e una donna, mancava solo l’escamotage per eliminare il quarto incomodo, il padre, che, una volta giunto a destinazione, viene strategicamente allontanato a causa di un subitaneo impegno di lavoro. Per cui, nella casa sul lago ghiacciato restano a interagire i soli ingredienti necessari a creare un buon vino. Che stavolta, come Goodnight Mommy, più di Goodnight Mommy, avrà un gusto assolutamente unico…

Ci sono immagini religiose sparse nella casa che turbano Grace. Ci sono dei pesci ibernati nel lago prospiciente il cottage, che ugualmente turbano Grace e si insinuano nei suoi sogni. Ci sono le pillole che la ragazza assume per la sua fragilità emotiva, che improvvisamente spariscono, in concomitanza con una tormenta perfetta che sigilla le dramatis personeae nella baita sperduta in mezzo al Nulla. E c’è il rapporto assolutamente ambiguo che si instaura tra i figli di Richard e la sua nuova compagna, che a un certo punto scopre persino di essere spiata nella doccia dal maschietto. Solo gli ormoni che urlano? La situazione cresce e cresce e cresce, fino a tracimare in un incubo a occhi aperti dove non è mai chiaro, per volgerla in metafora scacchistica, chi siano i bianchi e chi i neri. Il sovrannaturale non è mai convocato, non è la solita facile via di uscita per spiegare l’inspiegabile. Le forze in campo e in gioco sono quelle che vediamo sullo schermo e che abbiamo conosciuto fin dall’inizio. Non serve niente di più. The Lodge rientra nel novero di quelli che qualche anno fa definivamo film-giocattolo, in cui la situazione a un certo punto viene completamente rovesciata e quello che sembrava in un modo si scopre che è invece in un altro. Lo chiamiamo twist, turbine, coup de théâtre, colpo di scena, che pone improvvisamente la prospettiva sotto un angolo di incidenza diametralmente opposto. In The Lodge questo sistema viene portato a una complessità inedita: ce ne sono vari di rovesciamenti, di messe sottosopra di una interpretazione che sembra consolidata. E il giocattolo, da questo punto di vista, è molto, ma molto sofisticato, tutt’altro che un jeux d’enfants. Per quanti sforzi possa fare chiunque legga questo articolo, non riuscirà mai, nemmeno lontanamente, a immaginare che cosa si nasconde nel nocciolo duro del film. Una rivelazione sconcertante?

Più di una, ce n’è, ma a petto di qualsiasi altro film-giocattolo, la trovata, anzi le trovate della storia dei due ragazzini posti a interagire con la donna fragile di nervi, ricadono nell’ambito di ciò che i francesi definiscono “genial”.  I due registi hanno girato The Lodge in Canada, con la gloriosa Hammer inglese alle spalle e un’altra società di produzione americana. La confezione del film è americana e si vede che lo è. Soprattutto nei tempi, Fiala e la Franz abdicano al buon uso della lentezza che era stata caratteristica di Goodnight Mommy. Il ritmo accelera sicuramente, rendendosi più commestibile alle platee d’Oltreoceano. Ma questo non significa affatto che lo spirito di The Lodge sia qualcosa di anche solo minimamente paragonabile agli horror da catena di montaggio che riempiono (saturano o infestano) il mercato. Le esigenze commerciali si fondono con quel cinema che i due austriaci sanno e devono fare, date le loro premesse che sono quelle di cinefili onnivori e per nulla settari. L’horror non è un etichetta che si possa applicare disinvoltamente né a Goodnight Mommy né, adesso, a The Lodge. Ma è quanto di più vicino si possa trovare a un’etichetta che definisca il loro lavoro. C’è una bella frase che è stata detta a proposito del cinema di Ulrich Seidl ovvero che è a un passo dal poter diventare horror. E a ben vedere, questo vale anche per i lungometraggi realizzati da sua moglie e da suo nipote.